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Legittimo l'utilizzo "fiscale" dei dati da idagine penale

La Commissione tributaria regionale ha accolto la tesi dell'ufficio di Gallarate che recupera 750mila euro a titolo di Iva a seguito di controlli svolti dalla Guardia di Finanza.La polizia tributaria, nel corso di un'indagine penale, ha rinvenuto degli assegni intestati a una società operante nel settore dell'antiquariato che hanno dato origine ad una verifica fiscale a carico della stessa e dei soci, anche attraverso accertamenti bancari regolarmente autorizzati. L'indagine ha permesso di riscontrare una somma di 750mila euro di Iva occultata utilizzando ben 32 conti correnti.Il contribuente ha contestato l'ammissibilità dei rilievi che, a suo parere, andavano oltre il contenuto dell'autorizzazione.L'ufficio si è difeso precisando che l'autorizzazione non circoscrive il campo dell'indagine, perché il fine è quello di accertare tutte le violazioni della normativa tributaria, e ricordando che la Corte di cassazione ha da tempo stabilito come, anche nel caso di assoluta mancanza dell'autorizzazione non viene meno la valenza probatoria degli elementi raccolti.La Ctr di Milano ha chiarito che l'utilizzo ai fini fiscali dei dati acquisiti dalla Guardia di Finanza nell'ambito dell'indagine penale non può che essere ritenuta legittima. Precisando, inoltre, che rientra nella specifica competenza dell'Amministrazione effettuare i controlli in tutte le direzioni utili e necessarie all'accertamento delle violazioni e al conseguente recupero di quanto dovuto all'Erario, quindi anche quelle non ancora conosciute all'atto dell'autorizzazione.

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