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In auto vietato toccare il telefono

La sentenza della suprema Corte (n. 3766 del 27 maggio 2008) ha respinto il ricorso di un'automobilista, "pizzicato " e multato perché consultava la rubrica del proprio telefonino mentre era alla guida. La decisione dei giudici fornisce un'inedita e più severa interpretazione alla legge che vieta l’uso dei cellulari durante la guida: con essa, infatti, il divieto si estende anche al recupero dei dati dalla rubrica o alla scrittura di un sms, poiché il reato si compie nel momento in cui si lasciano le mani dal volante per utilizzare il cellulare. Il giro di vite vuole prevenire sia la possibile distrazione del conducente, che dirotta la propria attenzione verso un oggetto estraneo alla guida, sia l'impegno di «una delle mani sull'apparecchio, con temporanea indisponibilità e, comunque, consequenziale ritardo nell'azionamento, ove necessario, dei sistemi di guida». Alla sentenza emessa dal Palazzaccio si aggiunge, lo stesso giorno, l'entrata in vigore di nuove norme norme contro la guida in stato di ebbrezza e sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. Sono previste infatti sanzioni più dure per chi guida con alcool nel sangue e la reintroduzione del reato per chi si rifiuta di sottoporsi al controllo con etilometro, fino a ieri punito con una semplice sanzione amministrativa. In entrambi i casi, inoltre, è prevista la decurtazione di dieci punti dalla patente, che viene invece immediatamente revocata se il reato è commesso dal conducente di un autobus o di un veicolo pesante.

La moglie che tradisce in casa perde i beni donati dal marito

Rischia di perdere ogni bene intestatole dal marito la donna fedifraga, rea di aver tradito il coniuge incontrando l'amante anche nella casa familiare. Lo si evince da una pronuncia della Cassazione, che ha confermato la sentenza con cui, la Corte d'appello di Messina aveva dichiarato la revocazione "per ingratitudine" delle donazioni indirette fatte da un uomo al beneficio della propria moglie, alla quale aveva intestato la comproprieta' di beni immobili acquistati con il proprio denaro. L'episodio risale al 1975, quando il marito tradito aveva citato in giudizio l'ex coniuge che, all'epoca 36enne e madre di 3 figli aveva allacciato una relazione con un 23enne. La donna si era rivolta alla Suprema Corte per chiedere l'annullamento della pronuncia dei giudici del merito, ma gli 'ermellini' della seconda sezione civile hanno rigettato il suo ricorso: "il giudice d'appello - si legge nella sentenza n.14093 - ha infatti ritenuto, in coerenza con la lettura che la giurisprudenza di legittimita' ha costantemente dato dell'istituto in esame, che l'ingiuria grave richiesta dall'articolo 801 quale presupposto della revocazione consiste in un comportamento con il quale si rechi all'onore e al decoro del donante un'offesa suscettibile di ledere gravemente il patrimonio morale della persona, si' da rilevare un sentimento di avversione che manifesti tale ingratitudine verso colui che ha beneficiato l'agente, che ripugna alla coscienza comune". Con una motivazione "esente da vizi logici o giuridici", continuano i giudici di piazza Cavour, la Corte d'appello ha ritenuto che "costituiva ingiuria grave non tanto l'infedelta' coniugale della ricorrente, la quale all'eta' di trentasei anni, gia' madre di tre figli, aveva intessuto una relazione con un ventitreenne, protrattasi clandestinamente per vari anni e sfociata nell'abbandono della famiglia per convivere con il nuovo compagno, quanto - rileva la Cassazione - l'atteggiamento complessivamente adottato, menzognero e irriguardoso verso il marito, all'insaputa del quale la ricorrente si univa con l'amante nell'abitazione coniugale".

Per il PG fu legittimo l'arresto di Filippo Pappalardi. Ma la Cassazione non la pensa cosi

L'arresto di Filippo Pappalardi, padre dei due fratellini di Gravina di Puglia, fu un atto "legittimo".È quanto ha sostenuto davanti alla corte di Cassazione il sostituto procuratore generale Vincenzo Geraci, nell'ambito delle indagini sulla morte di Ciccio e Tore, i due bambini scomparsi nel 2006 e ritrovati lo scorso febbraio in fondo a un pozzo.Il procuratore ha chiesto alla corte di rifiutare il ricorso che la difesa di Pappalardi ha presentato nel 2007 contro il provvedimento di custodia cautelare emesso nei suoi confronti. Nel caso il ricorso venisse accettato, il padre dei due fratellini, ormai a piede libero, potrebbe chiedere alla procura un indennizzo per ingiusta detenzione. Secondo Geraci, il provvedimento, che mise Pappalardi sotto custodia cautelare con le presunte accuse di rapimento, duplice omicidio e occultamento di cadavere, fu un atto pienamente giustificato dalle circostanze delle indagini.

Di diverso avviso però la I Sezione Penale della Corte di Cassazione. Per i supremi Giudici fu un errore arrestare Filippo Pappalardi ed ha annullato senza rinvio sia l'ordinanza con la quale il gip di Bari il 26 novembre del 2007 aveva disposto l'arresto di Pappalardi, sia l'ordinanza con al quale il Tribunale della Liberta' della stessa citta' il 13 febbraio scorso convalidava la custodia cautelare. In questo modo per il padre dei fratellini di Gravina scomparsi nel luglio del 2006 e ritrovati dopo 20 mesi in un pozzo non molto lontano da casa, si apre la possibilita' di chiedere e ottenere il risarcimento per l'ingiusta detenzione patita.

Più garanzie per il rimpatrio di minori rumeni

Servono più garanzie per il rimpatrio di minori rumeni. Lo ha stabiito la Cassazione, che ha bloccato l'estradizione verso la Romania - dove era stato spiccato un mandato d'arresto europeo - di una minorenne condannata nel suo paese a due anni di reclusione per furti continuati ai danni di alcuni esercizi commerciali. In questo modo la Cassazione ha sconfessato precedenti decisioni nelle quali aveva stabilito che sull'estradizione, dato che si tratta di un giudizio "tecnico-giuridico", non erano necessari giudici specializzati in caso di minori. «Al contrario - dicono oggi i supremi giudici - anche in materia estradizionale, trattandosi di minori, l'autorità giudiziaria italiana ha il dovere di svolgere accertamenti sulla esistenza di istituti dello stato richiedente che assicurino una specifica tutela della condizione dell'imputato minorenne, anche sotto il profilo della valutazione della sua imputabilità».Secondo i supremi giudici infatti per dare il via libera al rimpatrio di persone minori deve essere provato che, nel loro paese di origine, il processo si è svolto con una indagine «sulla personalità e maturità» degli adolescenti rinviati a giudizio. La Suprema Corte ha inoltre affermato che - contrariamente a quanto è sempre avvenuto fino ad ora - le corti d'appello non potranno più occuparsi di estradizione di minori, ma servono degli appositi giudici minorili perché gli adolescenti necessitano di una «specifica tutela anche sotto il profilo della valutazione della loro imputabilità». Con questa decisione la Sesta Sezione Penale della Cassazione - con la sentenza 21005 - ha annullato la sentenza con la quale la Corte d'Appello di Roma, lo scorso 24 aprile, aveva disposto la consegna di una rumena di 19 anni nei confronti della quale il tribunale di Craiova aveva emesso, lo scorso 14 febbraio, un mandato di arresto europeo fondato sulla sentenza di condanna, definitiva, a due anni di reclusione pronunciata il 21 dicembre 2006. Tra il settembre e l'ottobre 2003, la ragazzina era stata sorpresa a rubare in alcuni negozi. Poco dopo, con la sua famiglia, si era data alla fuga in Italia dove è stata fermata, lo scorso 12 febbraio, a Roma e condotta nel carcere di Rebibbia. L'arresto veniva convalidato dal presidente della Corte d'Appello di Roma per quanto riguarda il Mae. La ragazza, inoltre, è stata arrestata anche per altri reati commessi in Italia. Contro il rimpatrio la sua difesa ha fatto breccia in Cassazione. Qui la ragazza ha sostenuto che i furti li aveva commessi a 14 anni e che era stata costretta a commetterli dal padre e che il processo si era svolto in sua assenza essendosi lei trasferita in Italia. La Suprema Corte gli ha dato ragione dal momento che non era stata acquisita alcuna prova o perizia sull'accertamento della sua maturità psichica. Alla Corte d'Appello di Roma la Cassazione rimprovera di non aver chiesto all'autorità rumena «alcun atto» dal quale si possa accertare la «capacità di discernimento» della minore all'epoca dei fatti. Per gli ermellini questo accertamento è «un presupposto imprescindibile "ai fini dell'accoglimento della domanda di consegna". Nel disporre la liberazione della ragazzina rumena - se non detenuta per altra causa - la Suprema Corte avverte il presidente della Corte d'Appello di affidare questo fascicolo alla Sezione per i Minorenni.

Non sempre la colpa del divorzio è di chi tradisce

La colpa del divorzio non può essere addebitata a chi ha tradito se la relazione extraconiugale è stata solo la conseguenza della crisi del matrimonio, già irreversibilmente in atto, e non la causa. Resta comunque "una violazione particolarmente grave dei doveri coniugali".
E' quanto si evince dalla sentenza 13431 depositata dalla Corte di Cassazione il 23 maggio 2008 e con la quale è stato respinto il ricorso di un ex marito che chiedeva di addebitare alla moglie la separazione perché sembra che, dopo una crisi particolarmente profonda tra i due, lei lo avesse tradito. Il tribunale di Palermo, in primo grado, gli aveva dato ragione. Poi la Corte d'appello siciliana, a novembre del 2003, aveva cambiato idea "negando l'addebito alla ex moglie e attribuendo un assegno a carico del marito". Così lui ha fatto ricorso alla Suprema Corte ma con scarso successo: la prima sezione civile, ripercorrendo la decisione della Corte d'appello ha infatti giudicato quest'ultima congruamente motivata perché dalla ricostruzione dei fatti era emerso che il tradimento non era stato la causa della crisi ma piuttosto la conseguenza di una crisi fra i due già in atto e che, ad ogni modo, avrebbe portato di lì a poco alla separazione.
In particolare, si legge nelle motivazioni, "quanto all'inosservanza dell'obbligo di fedeltà, questa rappresenta una violazione particolarmente grave la quale deve ritenersi di regole circostanza sufficiente a determinare l'addebito della separazione a carico del coniuge responsabile, fermo restando che deve sussistere il nesso di causalità fra l'infedeltà e la crisi coniugale, il quale viene meno ove preesista una crisi già irrimediabilmente in atto".

Rischia la sospensione il dipendente statale che "naviga" troppo

Lo statale che naviga troppo sul web e scarica su archivi personali materiale non legato al suo lavoro rischia la sospensione dal posto di lavoro. Un comportamento di questo tipo, infatti, dice la Cassazione, puo' configurare il reato di peculato punito al pari delle telefonate private fatte dall'ufficio. Applicando questo principio, la Sesta sezione penale ha accolto il ricorso della Procura di Bari contro la revoca della sospensione dall'esercizio di pubblico servizio accordata ad un dipendente del comune di Trani, Maurizio D.A., pizzicato a servirsi "del computer d'ufficio, cui era collegato un masterizzatore dvd, per uso personale usufruendo della rete informatica del comune". L'impiegato comunale, ricostruisce la sentenza 20326, "navigava in internet su siti non istituzionali, scaricando su archivi personali dati e immagini non inerenti alla pubblica funzione, prevalentemente materiale di carattere pornografico, con danno economico dell'ente". Indagato per peculato, l'impiegato comunale era stato prima sospeso dal Tribunale di Trani, aprile 2007, e riammesso dal Tribunale di Bari, un mese dopo, sulla base del fatto che il reato di peculato "tutela il patrimonio della P.A. e che lo stesso non poteva essere depauperato a seguito dei collegamenti in questione di un computer comunque e sempre collegato alla rete elettrica e telefonica indipendentemente dall'uso della navigazione".

Mario Pavone: Le detenute-madri. Riflessioni a margine della sentenza di Cogne

La sentenza di condanna emessa dalla Corte di Cassazione a carico di Annamaria Franzoni in relazione ai fatti di Cogne,al di la’ delle divisioni tra colpevolisti ed innocentisti, ripropone con forza il problema della detenzione delle madri di figli minori e del trattamento penitenziario previsto in tali casi.
La criminalita’ femminile e’ divenuta materia di indagine e di studio solo da poco. Da quando cioe’, negli ultimi trent'anni, le donne sono diventate protagoniste del profondo cambiamento sociale che ha interessato il nostro paese e che si e’ risolto nella approvazione di una serie di leggi a favore della liberta’ e della emancipazione delle donne: dalla procreazione controllata alla depenalizzazione dell'aborto, dal divorzio all'abrogazione del reato di adulterio femminile, con il riconoscimento di una parita’ - in termini di diritto di accesso a lavori prima esclusivi del mondo maschile e di parita’ di retribuzione - che interessa ora l'intera sfera sociale.

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