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Il danno morale puo’ essere liquidato sulla base di criteri standardizzati

La liquidazione equitativa del danno morale puo’ essere legittimamente effettuata dal giudice sulla base di criteri standardizzati e predeterminati, assumendo come parametro il valore medio per punto calcolato sulla media dei precedenti in virtu’ delle c.d. “tabelle” presso l'ufficio giudiziario, purche’ (...)

CASSAZIONE CIVILE, Sezione III, Sentenza n. 19493 del 21/09/2007

Scarico' canzoni dal web, assolto

Un 29enne, imputato per aver scaricato 670 canzoni in formato Mp3 e 2 film in formato Avi, e' stato assolto dai giudici di Milano. Questi ultimi hanno accertato che si tratto' di uso personale e non a fini di profitto. Per il giovane, residente a Limbiate (Varese), la pubblica accusa aveva chiesto una condanna a 7 mesi di reclusione. Al giovane, nel 2004, fu perquisita l'abitazione dalla polizia postale che gli sequestro' il computer.

Marijuana in casa, non e' reato

Coltivare due piantine di marijuana nel terrazzo di casa non e' reato: ma in caso di uso personale. Tribunale di Cagliari assolve giovane. Quest'ultimo era stato denunciato dai Carabinieri ad agosto perche' in casa erano state trovate due piante di marijuana. L'imputato e' stato assolto perche' il fatto non sussiste. Con ogni probabilita' il giudice ha accolto le argomentazioni del difensore che ha richiamato una sentenza della Cassazione di maggio e una analoga del Gup di Cagliari di giugno.

Ultras violenti a processo anche senza querela

CASSAZIONE PENALE, Sezione V Sentenza n. 35649 del 28/09/2007

Linea dura della Cassazione contro gli ultras violenti: possono essere sottoposti a processo anche quando e' stata ritirata la querela. Sempre che abbiano oggetti in grado di far male.In particolare,il tifoso Danilo P. era stato accusato di lesioni personali:al termine di una partita a Macerata aveva scagliato una sedia contro un ragazzo,colpendolo al capo.Il giovane aveva poi ritirato la querela ed il giudice di pace di Macerata aveva chiuso il caso dichiarando 'il non doversi procedere'. Il procuratore generale della Corte d'Appello di Ancona aveva fatto ricorso ritenendo il reato aggravato ai sensi dell'articolo 585 cp e che quindi si sarebbe dovuto procedere d'ufficio. La V Sezione Penale, nella sentenza 35649, ha dato ragione al procuratore perche' 'sono considerati come armi tutti gli strumenti atti ad offendere il cui porto e' vietato senza giustificato motivo'. Cioe' e' considerata arma qualsiasi strumento che sia chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l'offesa alla persona'. Non c'e' dubbio scrive la Corte, che una sedia puo' essere utilizzata per l'offesa alla persona se scagliata sulla testa dell'avversario,e che quindi il suo porto senza giustificato motivo non e' consentito.

Intercettazioni, Csm 'assolve' Woodcock

La sezione disciplinare del Csm presieduta dal vicepresidente Nicola Mancino ha assolto il pm di Potenza, protagonista di note inchieste come 'Vallettopoli' e quella riguardante il principe Vittorio Emanuele di Savoia, Henry John Woodcock dall'accusa di aver intercettato 'abusivamente' la conversazione intervenuta tra indagati e loro difensori in un procedimento di usura, a loro insaputa. La sezione disciplinare ha accolto in toto le richieste della Procura generale che aveva chiesto il proscioglimento di Woodcock perché il fatto non sussiste.
Dopo la notizia della sua assoluzione Woodcock ha commentato: "Sono soddisfatto per la decisione presa dalla sezione disciplinare del Csm". Durante il processo davanti alla sezione disciplinare di Palazzo dei Marescialli Woodcock aveva ribadito quanto gia' prodotto in due memorie difensive. Il pm potentino aveva aggiunto di volersi sottoporre al giudizio di merito del Csm perche' "un buon magistrato non deve mai sottrarsi a tale giudizio, convinto di avere onorato la funzione che ricopro da oltre dieci anni".

L’accesso ai dati sullo stato di salute puo' essere consentito per tutelare interessi superiori

La domanda di esaminare documenti contenenti i dati di salute di un soggetto deve essere accolta quando la loro visione serve al richiedente per esercitare un’eventuale azione giudiziaria per la tutela di interessi giuridicamente rilevanti; cio’ e’ possibile poiche’ il diritto di difesa, costituzionalmente garantito, e’ considerato prevalente sul diritto alla riservatezza.

TAR CALABRIA, Sez. Reggio Calabria, Sentenza n. 866

Il sindaco e’ responsabile delle violazioni alla normativa antinfortunistica all'interno del Comune

Il sindaco e’ responsabile degli infortuni occorsi all'interno del Comune ove non abbia provveduto all'individuazione dei soggetti cui attribuire la qualifica di datore di lavoro, ai sensi dall'art. 2, lett. b), del Dlgs n. 626/1994.


CASSAZIONE PENALE, Sezione III, Sentenza n. 3513

Indulto, le cifre ipocrite del ministro Mastella (di Roberto Perotti)

Dopo l'indulto le rapine in banca sono raddoppiate. Immagino che per il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, questo dato sia parte della «campagna mediatica di rara virulenza e spregiudicatezza, fatta per guadagnarsi gli applausi delle curve» e per accreditare la «faziosa, ingiusta equazione, secondo la quale l'indulto avrebbe significato maggiore criminalità e maggiore delinquenza».

Non commette reato l'indigente che occupa la casa

Non e’ reato occupare una casa se ci si trova in stato di necessita’, perche’ avere un'abitazione rientra tra i diritti primari delle persone. E' quanto ha stabilito la II Sezione della Cassazione accogliendo il ricorso presentato da una donna che era stata condannata per aver occupato abusivamente un appartamento dell'Iacp mentre versava in condizioni di grave indigenza.

Non esiste il 'diritto all'amplesso'

CASSAZIONE PENALE, Sezione III, Sentenza n. 35408 del 25/09/2007
Nessuno, nemmeno il coniuge, può obbligare una persona a un rapporto sessuale non desiderato. A sottolinearlo una sentenza della Cassazione, che ha respinto il ricorso di Giuseppe Z., un 45enne palermitano già condannato in appello a 4 anni di reclusione per una serie di reati commessi nei confronti della moglie Donatella, costretta "più volte a subire rapporti sessuali" contro la sua volontà.Per la Suprema corte, la condanna per il reato di violenza sessuale scatta nel caso di "qualsiasi forma di costringimento psico-fisico idonea ad incidere sull'altrui libertà di autodeterminazione".
Non importa se tra le due persone ci sia o meno "un rapporto di coppia coniugale o paraconiugale", dal momento che "non esisteun 'diritto all'amplesso', né conseguentemente il potere di esigere o imporre una prestazione sessuale". Una esistenza piena di vessazioni, quella di Donatella L.C. costretta a subire una "convivenza coniugale intollerabile" dal '93 fino al dicembre '99. Sei anni durante i quali il marito Giuseppe Z. la maltrattava, "colpendola con pugni e calci, costringendola a subire rapporti sessuali, minacciandola di morte, e ad assistere alle percosse nei confronti del figlio Walter di tre mesi".
Nel '99 la donna chiede la separazione (arrivata nell'aprile del 2004 con addebito al marito) e va via di casa. Ma l'odissea di Donatella è destinata a continuare. Nel 2001 l'ex marito la sequestra, obbligandola a seguirlo contro la sua volontà da Palermo a Villa San Giovanni, nella casa del cognato. Qui arriva l'ultima richiesta di rapporto sessuale, che la donna si trova costretta ad accettare per evitare "ulteriori conseguenze", come spiega la sentenza, e per convincere l'ex a riportarla a Palermo.Proprio su questo consenso "putativo", Giuseppe Z. ha fatto ricorso in Cassazione per chiedere una pena più mite, lamentando che l'ex moglie, pur potendo andarsene, era rimasta nell'abitazione e il rapporto "in fase di consumazione era proseguito" con l'accordo della donna.
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, sottolineando che Donatella era stata costretta a vivere "in un clima di tensione e di latente soggezione, anche per le pregresse esperienze di maltrattamenti ed abusi". Per cui l'apparente assenso al rapporto era giustificato dal fatto che la donna "non aveva altra scelta che tentare di assecondarlo volta per volta, evitando di suscitare in lui ulteriori occasioni di ira già avutesi in passato". Ed infine, rimarca la Cassazione, "il diritto all'amplesso" non esiste "né nel rapporto di coppia coniugale", né in quello "paraconiugale".

Toghe, al via il ricambio

«La prova del budino è nel mangiarlo», recita un proverbio inglese. Ed è quel che si accinge a fare il Consiglio superiore della magistratura: «assaggiare » – ovviamente in senso metaforico – i vertici degli uffici giudiziari (...)
Leggi l'articolo su ilsole24ore.com

Immigrati: le usanze diverse non giustificano violenza

Le usanze diverse non giustificano violenza, e’ questo il monito arriva dalla I sezione civile della Corte di cassazione che, con la sentenza 19450 del 20 settembre, ha accolto il ricorso di un romano che era stato condannato, prima dal Tribunale di Roma e poi dalla Corte d'appello capitolina, a corrispondere alla ex un assegno di mantenimento di 516 euro al mese. Lui aveva fin dall'inizio chiesto l'addebito della separazione alla compagna perche’ per 23 anni aveva subito da parte sua comportamenti violenti e vessatori. La donna si era difesa lamentando un forte disagio nell'adattarsi "a stili e costumi di vita diversi". Non solo. Per tutti quegli anni lui aveva sopportato in silenzio.

Abusi sessuali. Valida la testimonianza dei minori

I bimbi che in tenera eta’, dichiarano di aver subito abusi sessuali possono essere una valida fonte di prova e le dichiarazioni dei genitori sui fatti loro riferiti dai figli hanno il peso di una testimonianza.

CASSAZIONE PENALE, Sezione III, Sentenza n. 35224 del 21/09/2007

Omicidio Tommaso: Pg Cassazione, la compagna di alessi resti in carcere

Antonella Conserva, la compagna di Mario Alessi, accusata di concorso nel sequestro del piccolo Tommaso Onofri, il bambino di 18 mesi rapito alle porte di Parma il 2 marzo scorso e trovato senza vita un mese dopo, deve rimanere in carcere. Lo ha chiesto il sostituto procuratore generale della Cassazione, Angelo Di Popolo, ai giudici della V sezione penale chiamati oggi a decidere sul ricorso presentato dalla difesa di Antonella Conserva contro l'ordinanza del Tribunale della liberta' di Bologna dello scorso 10 maggio. Secondo la pubblica accusa della Cassazione la ''rilevanza indiziaria'' nei confronti della compagna di Alessi e' ''ben sussistente''. Dunque sono ''necessarie'', a suo avviso, le esigenze cautelari. Bocciata inoltre dal pg la richiesta della difesa di dichiarare l'illegittimita' costituzionale relativa al fatto che il giudice relatore che si e' occupato della vicenda si e' espresso in due giudizi. Secondo il pg non c'e' incompatibilita'. Da qui e' la richiesta di rigetto del ricorso. Il verdetto nelle prossime ore.

Lavavetri, gip di Firenze archivia le denunce

Il gip di Firenze Pietro Ferrante ha disposto l'archiviazione delle denunce fatte a Firenze tra il 28 e il 31 agosto scorso contro i lavavetri. Le denunce della polizia municipale furono fatte in base alla prima ordinanza adottata dal Comune di Firenze. Secondo il gip nell'atto si riscontra l'"Inesistenza dell'antigiuridicita' del fatto". Quest'ultima richiamava l'applicazione dell'articolo 650 del codice penale (intitolato 'Inosservanza di un provvedimento dell'autorita', punito con la sanzione dell'arresto fino a tre mesi o dell'ammenda) in caso di inosservanza del divieto a svolgere abusivamente il mestiere girovago di pulire i vetri agli incroci stradali.
Il gip ha cosi' accolto la richiesta del procuratore capo del capoluogo toscano Ubaldo Nannucci che ha rilevato l'illegittimita' del provvedimento del Comune in quanto richiamava una sanzione penale per un fatto, l'esercizio abusivo di un mestiere girovago, che la legge prevede solo come illecito amministrativo in seguito alla sua depenalizzazione.
Il gip, nella sua motivazione, ha ritenuto "dirimente" ancor prima l'orientamento giurisprudenziale della Cassazione, consolidato da oltre 10 anni, sull'applicazione dell'articolo 650 cp. Il gip ha poi ricordato che per la Cassazione, l'articolo 650 e' applicabile se l'inosservanza riguarda un ordine specifico impartito ad un soggetto determinato o determinabile. Inoltre, l'inosservanza deve riguardare "un provvedimento adottato in relazione a situazioni non prefigurate da alcuna specifica previsione normativa che comporti una specifica e autonoma sanzione". L'ordinanza di Palazzo Vecchio, ha osservato invece il gip, "e' data in via preventiva, ma ad una generalita' di soggetti, ha carattere sostanzialmente regolamentare e non ha pertanto le caratteristiche sopra indicate e quindi la sua inosservanza non puo' integrare il reato di cui all'articolo 650 cp".

Con l'archiviazione il gip ha disposto la restituzione di quanto sequestrato ai lavavetri.

http://www.litis.it/

Il mandato di cattura europeo non garantisce il cittadino

Uno dei più importanti giuristi italiani, Augusto Sinagra, esprime le sue perplessità relative all'entrata in vigore del mandato di cattura europeo, che secondo il docente della “Sapienza”, rischia di compromettere tanti aspetti di una civiltà giuridica del nostro Paese.

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Leggi l'articolo di Antonella Ricciardi su corrierediaversaegiugliano.it

Parisi: con la finanziaria riforma della magistratura militare

Il Ministro della Difesa, Arturo Parisi, ''appresa da un articolo di stampa la notizia della partecipazione di un elevato numero di giudici militari ad un convegno nella citta' di Toledo, in Spagna, ha segnalato al Presidente dell'organo di autogoverno della Magistratura Militare l'opportunita' di far conoscere, anche pubblicamente, le circostanze e le ragioni dell'iniziativa, nell'ambito dell'autonoma responsabilita' attribuita dalla legge allo stesso organo''.Parisi ricorda che ''il Governo, su sua proposta, gia' nel marzo scorso -ben prima dell'inizio delle polemiche di stampa- aveva inserito norme volte ad una drastica riduzione degli uffici della giustizia militare nel contesto del disegno di legge di riordino dell'ordinamento giudiziario, dovendo poi prendere atto dell'avvenuto stralcio di tali norme da parte del Parlamento''.Il Ministro della Difesa ribadisce ''la ferma determinazione del Governo di pervenire rapidamente alla voluta riforma e segnala di averne chiesto l'inserimento nei provvedimenti legislativi che accompagneranno la manovra finanziaria del 2008, nell'ambito delle misure dirette alla razionalizzazione e al contenimento della spesa pubblica''.

UE - l'Italia condannata per la violazione delle norme a tutela dell'ambiente

La Corte di Giustizia europea ha pronunciato oggi due sentenze (vedi in allegato le note della Corte) contro la Repubblica italiana per violazione degli obblighi relativi alla protezione dell'ambiente. 1) La Corte di Giustizia ha deciso di condannare la Repubblica italiana per non aver adottato i provvedimenti adeguati per evitare, nella zona di protezione speciale "Valloni e steppe pedegarganiche" a Manfredonia, il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie nonché la perturbazione delle specie nel periodo precedente al 28 dicembre 1998; per questi motivi é venuta meno agl obblighi della direttiva del Consiglio 79/409/CEE (conservazione degli uccelli selvatici), e, nel periodo successivo a tale data, alla direttiva del Consiglio 92/43/CEE (conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche).2) La Corte di Giustizia ha deciso di condannare l'italia per aver autorizzato misure suscettibili di avere un impatto significativo sulla ZPS Parco Nazionale dello Stelvio, senza assoggettarle ad un'opportuna valutazione della loro incidenza alla luce degli obiettivi di conservazione della zona. In particolare si trattava della costruzione di due nuove piste da sci. Dunque, avendo omesso di adottare misure per evitare il deterioramento degli habitat naturali e degli habitat delle specie per le quali la ZPS Parco Nazionale dello Stelvio é stata costituita, é cosí venuta meno agli obblighi ad essa imposti dalle suddette normative comunitarie

Frattini. Droga, più prevenzione e cooperazione tra le polizie

"E' necessario promuovere campagne che dicano con chiarezza che le droghe fanno male, che pubblicizzino tra i giovani e le famiglie anche i dati crudi relativi alle conseguenze dell'uso della droga, che sottolineino come l'Europa miri a eliminare la dipendenza e non a mantenerla come fanno le politiche di riduzione del danno. Per queste campagne che ne scoraggino l'uso abbiamo stanziato per il prossimo anno 21 milioni di euro". E' quanto ha affermato oggi il vicepresidente della Commissione europea e commissario per la Libertà, la giustizia e la sicurezza Franco Frattini intervenendo al convegno organizzato a Milano da Ecad (European Cities Against Drugs).
Per Frattini alle azioni preventive, vanno però affiancate una maggiore cooperazione transnazionale tra gli organi di polizia dei singoli Stati membri che si occupano specificatamente di droga e rafforzare Europol, la polizia europea. Il commissario propone anche un'unica banca dati europea alimentata dai singoli Stati che contenga tutte le informazioni relative ai componenti delle organizzazioni criminali, questo anche in vista dell'ulteriore caduta delle frontiere (e quindi dei controlli) dei Paesi neocomunitari.
"Si tratta di proposte che non richiedono una politica comune europea - sottolinea Frattini - perché oggi purtroppo non c'è e non ci sarà a breve una normativa comune in materia di droga: ogni Stato fa per se". E proprio di fronte all'assenza di un'azione comune, Frattini promuove il "ruolo centrale dei sindaci che devono gestire le politiche antidroga sul territorio", così come del resto devono fare in tema di immigrazione. In questo senso, Frattini lancia l'idea di un manifesto delle città europee "che può dare un messaggio forte anche ai governi più riluttanti verso una legislazione comune".
A preoccupare maggiormente Frattini c'è la crescita costante della produzione di stupefacenti che avviene nelle regioni del Sud dell'Afghanistan sotto controllo dei talebani. "La comunità internazionale deve essere chiara: le piantagioni devono essere prioritariamente distrutte" ha affermato il commissario europeo, sottolineando come la "sostituzione dell'oppio con culture alternative non ha finora assolutamente funzionato".
L'altro tema di preoccupazione è legato alle rotte africane del traffico internazionale di stupefacenti. "L'enorme povertà, la grande corruzione, l'assenza di istituzioni solide e la presenza di cellule del terrorismo islamico - spiega Frattini - permettono che in alcuni Paesi africani i trafficanti introducano enormi quantità di droga che poi vengono smerciate in Europa".
Così come aveva fatto questa mattina il viceministro dell'Interno Marco Minniti, anche Frattini evidenzia il rischio di "una crescente commistione tra i trafficanti di droga e quelli di uomini". Di certo, secondo il vicepresidente della Commissione europea "lo stupefacente è sempre più a buon mercato e sempre più diffuso", e c'è un sensibile aumento delle droghe chimiche: più facili e meno costose da produrre e distribuire.

Occupare il posto di lavoro non si puo'

Occupare il luogo in cui si lavora, per ottenere un posto fisso, è reato. Lo sottolinea una sentenza della Cassazione che ha confernato la condanna per interruzione di pubblico servizio a due lavoratrici precarie impiegate a tempo parziale in una scuola di Rossano, nel cosentino, che avevano occupato l'edificio per ottenere dalla pubblica amministrazione un contratto di lavoro definitivo. Le due donne, Graziella P. e Rosetta R., erano state condannate a un mese di reclusione, con la continuazione, per i reati di interruzione di pubblico servizio e invasioni di edifici, prima dal Tribunale di Rossano nel 2004 e poi dalla Corte d'appello di Catanzaro nel 2006, secondo la quale le due lavoratrici si erano introdotte "arbitrariamente nell'edificio scolastico, al fine di occuparlo".Una condanna eccessiva secondo la difesa di Graziella e Rosetta, che ha presentato ricorso in Cassazione, appellandosi all'esercizio del diritto di sciopero e sostenendo che, in ogni caso, l'agitazione delle due donne non aveva compromesso il regolare funzionamento dell'istituto dal momento che il corpo insegnante era rimasto nella scuola e gli alunni erano stati mandati a casa "per scelta della direttrice e non in conseguenza" della occupazione. Inoltre "non c'era stata invasione arbitraria dal momento che le imputate possedevano le chiavi".La Suprema Corte ha accolto solo in parte il ricorso dell'avvocato, annullando la condanna per invasione di edifici, ma non quella di interruzione di pubblico servizio. Per la Cassazione, infatti, i motivi che, secondo il loro legale, avrebbero indotto le due donne ad occupare l'edificio ("eliminare una situazione effettivamente antisociale"), "non possono certo essere riconosciuti nel comportamento di chi commette consapevolmente un reato per indurre la pubblica amministrazione a trasformare in definitivo un contratto di lavoro a tempo parziale".Ora Graziella e Rosetta dovranno nuovamente comparire davanti alla Corte d'appello di Catanzaro per la rideterminazione della pena.

Risarcibile il danno esistenziale da ingorgo

Giudice di Pace di Bolzano, Sentenza 14/09/2007

Con una sentenza a dir poco storica il giudice di pace di Bolzano, Mirta Pantozzi, in data 14.09.2007 ha condannato la Societa’ Autostrada del Brennero SpA al risarcimento del danno esistenziale subito da un automobilista a seguito della mancata segnalazione di code all'atto dell'entrata in autostrada. L'utente aveva avviato azione civile nel 2003, sostenuto dal Centro tutela consumatori utenti e difeso dall'avvocato Laura Benuzzi di Bolzano. Nel maggio del 2002, verso le 14,30 l'automobilista era entrato con la propria automobile dal casello di Bolzano Sud per raggiungere Trento, dove lo attendeva un appuntamento di lavoro, scegliendo di usare l'A22 proprio per risparmiare tempo nel tragitto.
All'ingresso del casello non vi era alcuna indicazione di interruzione della carreggiata sud. Percorsi poche centinaia di metri l'automobilista rimaneva tuttavia bloccato sulla bretella di immissione in autostrada, a seguito del formarsi di una lunga colonna di autoveicoli dovuta ad un incidente verificatosi verso le 12,45, sempre sulla corsia sud dell'A22 in localita’ «Laimburg», a circa 10 km dal casello di Bolzano Sud. L'utente rimaneva imbottigliato nel tratto interessato ed impossibilitato ad effettuare qualsiasi manovra di uscita dall'autostrada, doveva attendere fino alle 15,30 circa per riprendere la marcia, quando il traffico aveva potuto riprendere a scorrere normalmente.
L'automobilista faceva presente sin da subito per iscritto alla direzione della A22 le circostanze di cui sopra, richiedendo un risarcimento esistenziale per il disagio fisico e psicologico subito in occasione dell'accaduto. L'A22 declinava ogni responsabilita’ ed il consumatore, grazie anche al supporto del Ctcu, decideva di avviare azione civile di risarcimento nei confronti della stessa societa’, lamentando che la stessa non avesse posto in essere alcun avviso volto ad informare tempestivamente l'utenza della presenza di code lungo il tratto autostradale interessato, in conseguenza dell'incidente verificatosi quasi due ore prima.
In corso di causa, il consumatore e’ riuscito a provare con testimoni il disservizio dell'A22, e dopo oltre quattro anni dall'avvio dell'azione il giudice di pace di Bolzano ha finalmente riconosciuto la responsabilita’ dell'A22 e l'ha condannata al risarcimento di danni e spese di giudizio.

Indennita' sempre dovuta ai condomini anche per una minima sopraelevazione

CASSAZIONE CIVILE, Sezioni Unite, Sentenza n. 16794 del 30/07/2007


Con la sentenza n. 16794/07, le Sezioni Unite sono intervenute a risolvere la controversia in tema di disciplina delle costruzioni sopra l’ultimo piano dell’edificio condominiale, in particolare sui presupposti genetici dell’obbligazione d’indennizzo imposta a carico del condomino che sopraeleva in favore degli altri condomini.
L ’art.1127 I comma del c.c attribuisce il diritto di sopraelevazione al condomino proprietario esclusivo dell’ultimo piano o del lastrico solare e al IV comma pone, a carico dello stesso, l’obbligo di corrispondere agli altri condomini un indennita’. Cio’, come evidenziato da dottrina e giurisprudenza prevalenti, in virtu’ “della necessita’ d’una misura compensativa della riduzione del valore delle quote degli altri condomini sulla comproprieta’ del suolo comune conseguente alla sopraelevazione realizzata da uno d’essi e e dell’acquisto da parte di questi della proprieta’ relativa”.
La Corte sostiene, sulla comparazione della normativa esistente in materia, che afferma l’inapplicabilita’ della norma in esame nei casi di semplice ristrutturazione interna che non comporti alcuna alterazione dello stato originario degli spazi interessati, che la fattispecie prevista dal IV comma dell’articolo 1127 del codice civile va ravvisata “in ogni ipotesi di incremento delle superficie e del volume degli spazi oggetto delle opere, indipendentemente dal fatto che esso dipenda o meno dall’innalzamento dell’altezza del fabbricato, come ad esempio,nel caso in cui ferma l’altezza del colmo del tetto, ove l’incremento di superficie effettivamente utilizzabile e di volumetria si realizzano mediante la trasformazione dello spiovente da rettilineo con pendenza unica a spezzato con pendenze diverse, o – ma e’ ipotesi di dubbia legittimita’ - mediante l’ampliamento della base con la costruzione d’uno sporto e la conseguenziale estensione del tetto”.

Alla stregua di quanto detto, e’ indubbio che qualsiasi innalzamento delle mura perimetrali, indipendentemente dall’altezza, ed il rifacimento del tetto al di sopra di esse, costituisce una nuova fabbrica che deve essere considerata come sopraelevazione e pertanto oggetto dell’obbligo di corresponsione dell’indennita’ prevista.

http://www.litis.it/, 18/09/2007)

Puo' essere licenziato il dipendente che denigra la propria azienda

CASSAZIONE CIVILE, Sezione Lavoro, Sentenza n. 19232 del 17/09/2007

Rischia di andare incontro al licenziamento il lavoratore che parla male dell'azienda per cui lavora, diffondendo notizie in grado di ledere l'immagine della struttura. Lo sottolinea la Cassazione, annullando con rinvio una sentenza della Corte d'appello di Milano che, nel 2004, aveva confermato l'illegittimita' del licenziamento, pronunciata dal primo giudice, intimato ad un'infermiera professionale e capo sala, dipendente di una struttura ospedaliera. In particolare, i giudici del merito avevano ritenuto che i fatti in contestazione ("espressioni offensive sulla capacita' e sulla professionalita' del personale" e divulgazione di addebiti contenuti in una lettera di contestazione relativi al ritrovamento di prodotti scaduti presso il blocco operatorio) non integrassero una giusta causa, ne' un giustificato motivo oggettivo di licenziamento. Contro tale decisione aveva presentato ricorso in Cassazione la struttura ospedaliera, secondo la quale l'infermiera, diffondendo notizie riservate, aveva leso "l'estimazione di serieta' di una struttura particolarmente nota e di alto prestigio". Per gli 'ermellini' della sezione lavoro (sentenza n.19232), il ricorso e' fondato: nel caso in esame, rilevano, "una valutazione globale del comportamento e' assolutamente assente" e i singoli fatti addebitati "non sono stati in alcun modo valutati nell'ambito della particolare delicatezza della funzione assegnata (infermiera professionale in un ospedale), dello specifico settore in cui il lavoro si svolgeva (blocco operatorio), della elevata responsabilita' che ne conseguiva e della fiducia che esigeva". Inoltre, la Corte d'appello non ha dato "ragione alcuna della ritenuta assenza di danno - aggiungono ancora i giudici di piazza Cavour - che la divulgazione (anche nei confronti dello stesso personale dell'azienda, nonche' per la diffusiva potenzialita' verso l'esterno) della notizia assumeva per l'immagine di una struttura ospedaliera". Per questo, conclude la sentenza, il caso dovra' essere rivisto dalla Corte d'appello di Brescia.

Le critiche anche spietate alla magistratura fanno bene alla democrazia

CASSAZIONE PENALE, Sezione V, Sentenza n. 34432 del 15/09/2007

Le critiche, anche "spietate", all'operato della magistratura "fanno bene alla democrazia". Che i cittadini abbiano il diritto di criticare le decisioni delle toghe la Cassazione gia' lo aveva detto (al riguardo confronta Cassazione Penale, Sezione V, n. 29232/2004 del 06/07/2004), ma ora ha aggiunto qualcosa in piu'. La critica puo' diventare anche"spietata" davanti a decisioni che sono sentite come "ingiuste e non degne di un paese democratico".
E’ quanto si sostiene nella sentenza n. 34432 emessa dalla V sezione Penale in data 15 settembre 2007 con la quale la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal PM Mario Blandini contro l’assoluzione di un giornalista che aveva criticato la decisione del PM di patteggiare la pena di ruggero Junker(16 anni di reclusione), accusato dell’omicidio della fidanzata.
L’utilizzo di frasi talvolta eccessive, spiega la Cassazione, e’ un mezzo per farsi interpreti della disapprovazione dell’opinione pubblica per un comportamento processuale della pubblica accusa e per una decisione della corte di appello ritenuti ingiusti nonche’ lesivi del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. L’opinione pubblica, infatti, segue con particolare attenzione i fatti di cronaca nera e reclama processi non solo rapidi ma anche rispettosi dei principi costituzionali. Le decisioni dei magistrati, quindi, sono soggette a critiche se risultano ingiuste e non degne di un paese democratico.
Nella fattispecie fu lo stesso Pm ad usare l’espressione “pochi, maledetti e subito” in relazione alla pena patteggiata. La critica al magistrato, conclude la Corte, e’ pienamente giustificata dal momento che l’espressione utilizzata dal Pm esprime una concezione del diritto e della giustizia quantomeno singolari.

Litis.it

Maniere forti contro gli alunni? scatta la condanna per il maestro

CASSAZIONE PENALE, Sezione VI, Sentenza n. 34674 del 13/09/2007

Il ricordo delle botte e delle maniere forti usate da un maestro su un bambino puo’ accompagnarlo per tutta la vita creandogli traumi irreparabili. E' quanto avvenuto agli alunni di una scuola elementare di Siracusa, picchiati e rinchiusi nell'armadio dal maestro, che e’ ora stato condannato definitivamente dalla Corte di Cassazione.

Infatti a denunciare i problemi che possono derivare da sistemi di educazione troppo rigidi e umilianti per i piccoli e’ proprio la Suprema corte che, con la sentenza n. 34674 di oggi, ha respinto il ricorso di un maestro e reso definitiva la condanna a questo inflitta dalla Corte d'appello di Catania (tre mesi di reclusione) per abuso dei mezzi di correzione (il Tribunale di Siracusa lo aveva inizialmente condannato per maltrattamenti).

Nelle aule della scuola elementare siciliana si sono verificati dei veri e propri soprusi a carico dei bambini: li percuoteva con calci e schiaffi, li chiudeva nell'armadio, e in particolare faceva spogliare completamente nudo in classe uno di loro.

Nel ricorso per Cassazione il maestro ha sostenuto che i suoi sistemi educativi non erano altro che un modo per "trovare un dialogo con una classe impossibile".
I giudici della VI sezione penale non hanno condiviso tale tesi e hanno respinto il gravame denunciando, tra l'altro, le conseguenze che questi atteggiamenti possono provocare sui bambini e accompagnarli lungo tutta la loro vita di adulti.

Secondo i Supremi Giudici, gli atti compiuti dall'imputato hanno realizzato traumi psicologici per le piccole vittime e, percio’, fatti da cui deriva pericolo di una malattia nella mente delle parti offese; pericolo che, alla stregua delle piu’ recenti acquisizioni scientifiche, sussiste ogni qualvolta ricorre il concreto di rilevanti conseguenze sulla salute psichica del soggetto passivo, essendo opinione comune nella letteratura scientifica-psicologica che metodi di educazione rigidi ed autoritari, che utilizzano comportamenti punitivi violenti o costrittivi, siano non soltanto pericolosi ma anche dannosi per la salute psichica cosi’ da essere responsabili di una serie di disturbi: dallo stato d'ansia, all'insonnia e alla depressione, o a veri e propri disturbi caratteriali e comportamentali nell'eta’ adulta.

Vedi anche: Dalla Cassazione un monito al "padre padrone" - CASSAZIONE PENALE, Sezione VI, Sentenza n. 34460 del 12/09/2007

Uso indebito del cellulare aziendale. Legittimo il licenziamento

CASSAZIONE CIVILE, Sezione Lavoro, Sentenza n. 15334 del 09/07/2007

E’ legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente che abbia indebitamente usato, per fini personali, il cellulare aziendale, omettendo ogni vigilanza sull’uso fattone da parte del figlio ventenne dedito all’invio di numerosissimi SMS. E’ quanto ha stabilito la sezione Lavoro della Cassazione con la decisione in rassegna.
Gli “Ermellini” hanno dapprima ricordato un consolidato orientamento secondo cui l'elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, percio’, la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per altro grave comportamento del lavoratore, contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, alla sola condizione che tale grave inadempimento o tale grave comportamento, con apprezzamento di fatto del giudice di merito non sindacabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato, abbia fatto venir meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (ex plurimis Cass. n. 2906 del 2005; Cass. n. 16260 del 2004; Cass. n. 5372 del 2004).
Nella fattispecie, l’omessa diligenza nella sorveglianza e’ tale da configurare un grave inadempimento che ha fatto venir meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore, per i profili soggettivi ed oggettivi, per essersi protratta nel tempo e per gli indebiti vantaggi conseguiti in danno del datore di lavoro.

(Marco Martini, © http://www.litis.it/, 13/09/2007)
Il testo integrale della sentenza qui:

Dalla Cassazione un monito al "padre padrone"

CASSAZIONE PENALE, Sezione VI, Sentenza n. 34460 del 12/09/2007

Risponde di maltrattamenti (art. 572 c.p.), e non gia’ di abuso dei mezzi di correzione (art. 571 c.p.) il genitore che con la forza impedisce alla figlia, fin da bambina, di uscire di casa, se non per andare a scuola e fare la spesa, e di frequentare i maschi.
E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza in rassegna, dichiarando inammissibile il ricorso di un genitore che aveva impedito alla figlia, da quando aveva appena cinque anni, di frequentare persone di sesso maschile e di uscire di casa.
Condannato in primo grado per maltrattamenti dal Tribunale di Torino, la sentenza era stata confermata anche dalla Corte di Appello
Secondo la VI Sezione della Cassazione, il regime di prevaricazione e violenza cui e’ stata sottoposta la persona offesa, tale da rendere intollerabili le condizioni di vita, non si concilia con le caratteristiche del delitto di abuso dei mezzi di correzione e disciplina, che presuppone un uso consentito e legittimo dei mezzi correttivi che, senza spingere a forme di violenza, trasmodi in abuso a cagione dell'eccesso, arbitrarieta’ o intempestivita’ della misura.
Ed in effetti, il ragionamento seguito dalla Cassazione e’ del tutto condivisibile se si considera che, fondamentalmente, il reato di abuso dei mezzi di correzione presuppone da un lato una esasperazione – sia sotto il profilo della arbitrarieta’ che dell’eccesso della misura – dei mezzi correttivi, dall’altro l’assoluta assenza di forme di violenza, essendo tollerati solo quegli atti di minima violenza fisica o morale che risultino necessari per rafforzare la proibizione di comportamenti oggettivamente pericolosi del minore.
Il reato di maltrattamenti, invece, e’ connotato da un dolo generico consistente nella coscienza e volonta’ di sottoporre il soggetto passivo – nella fattispecie, la figlia – ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo continuo ed abituale, in maniera da lederne complessivamente la personalita’ e tali da costituire proprio quel regime di “prevaricazione e violenza”, individuato dalla Cassazione, tale da rendere intollerabili le condizioni di vita della figlia.
(Marco Martini © Litis.it, 12/09/2007)

No al cellulare agli esami, scatta il sequestro

Niente cellulare all'esame. Scatta, infatti, il sequestro se si viene beccati a comunicare al telefonino. Lo ricorda la Cassazione, sezione Penale, che ha accolto il ricorso del pm presso il Tribunale della Liberta' di Napoli contro la decisione del Riesame di non convalidare il sequestro del telefonino di Alessandra P., una 28enne beccata a parlare con un avvocato al cellulare nel corso della prova scritta dell'esame di abilitazione per diventare avvocato. La Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto:

Ai fini del sequestro preventivo di cosa di cui e' consentita la confisca, e' sufficiente l'esistenza di un nesso strumentale fra la 'res' e la perpetrazione del reato, non essendo necessario che la cosa sia anche strutturalmente funzionale alla commissione del reato, nel senso che debba essere specificamente predisposta per l'azione criminosa.

Non e' mobbing trasferire lavoratore in altro reparto

Non e' mobbing trasferire d'ufficio il lavoratore a un nuovo reparto, cambiandogli le funzioni svolte fino a quel momento. A meno che il dipendente non riesca a provare che la nuova attivita' abbia comportato una dequalificazione professionale dovuta ad un atteggiamento persecutorio del datore di lavoro. E' quanto affermato della Corte di cassazione che, con la sentenza 18580 del 4 settembre, ha respinto il ricorso di un biologo, coordinatore dell'impianto di trattamento delle acque presso un'azienda farmaceutica, spostato dal capo in un laboratorio di microbiologia.

CASSAZIONE CIVILE, Sezione Lavoro, Sentenza n. 18580 del 04/09/2007

Carcere preventivo anche per i minorenni

CASSAZIONE PENALE, Sezione IV, Sentenza n. 34216/2007

Dalla Corte di Cassazione (sentenza 34216/2007 della IV Sezione penale) via libera alla custodia cautelare nei confronti di minorenni. Gli Ermellini hanno cosi’ annullato l'ordinanza con la quale il Tribunale per i minorenni di Roma aveva disatteso la richiesta di convalida dell'arresto di un'adolescente nomade, sorpresa a rubare in una casa.
Con tale pronuncia, dunque, la posizione dei minori e’ stata equiparata a quella degli adulti che si macchiano di questo tipo di reato.
La Cassazione fa riferimento a due orientamenti giurisprudenziali contrastanti e delle modifiche legislative introdotte con la legge 128 del 2001 concludendo che vi e’ senza dubbio continuita’ normativa tra le gia dette fattispecie di furto aggravato in appartamento o con strappo e quelle introdotte dall'articolo 624 bis del Cpp. Infatti nuovi illeciti conservano la struttura delle vecchie fattispecie aggravate e vi apportano solo lievi variazioni lessicali. In definitiva - conclude il Collegio - la struttura e la lettera delle norme regolatrici del caso che ne occupa, impongono di ritenere che la misura della custodia cautelare sia applicabile ai minorenni chiamati a rispondere di tentato furto in abitazione con effrazione

Per il mobbing configurabile il reato di maltrattamenti

CASSAZIONE PENALE, Sezione V, Sentenza n. 33624 del 29/08/2007

La Corte di Cassazione torna ad affrontare il tema della rilevanza penale del c.d. “mobbing” ribadendo, pur non ritenendone la ricorrenza nella specifica fattispecie eseminata, un consolidato orientamento secondo cui la figura di reato maggiormente prossima ai connotati caratterizzanti il cd. mobbing e’ quella descritta dall'art. 572 c. p., commessa da persona dotata di autorita’ per l'esercizio di una professione (Cass., sez. VI, 22.1.2001, Erba, CED Cass. 218201. Secondo la Cassazione, ove si accolga siffatta lettura, risulta evidente che, soltanto per l'ipotesi dell'aggravante specifica della citata disposizione (Se dal fatto deriva una lesione personale grave,) si richieda la individuazione della conseguenza patologica riconducibile agli atti illeciti.
Secondo i Supremi giudici, per la sussistenza del reato occorre la prova della reiterazione delle condotte potenzialmente lesive dell'integrita’ della vittima.

(M.M., © http://www.litis.it/, 10 Settembre 2007)

Obbligo di dimora con divieto di uscita notturna per i piromani

CASSAZIONE PENALE, Sezione I, Sentenza n. 28447/2007

Giro di vite della Cassazione nei confronti dei piromani. Per chi e’ accusato di avere appiccato roghi scatta, infatti, l'obbligo di dimora con "divieto di uscita notturna" anche se il processo deve ancora essere celebrato. La Suprema Corte, con una sentenza della Prima sezione penale (la numero 28447), in qualche misura interviene sull'emergenza incendi stabilendo che nei confronti di chi e’ accusato di avere appiccato roghi deve scattare l'obbligo di dimora, con tanto di "divieto di uscita notturna" in attesa del processo. Applicando questo principio, la Suprema Corte ha cosi’ confermato la misura restrittiva nei confronti di due ventenni emiliani, A. G. e F. A., accusati di avere provocato "numerosi incendi".
Secondo la Suprema Corte, anche se i due giovani per ora sono indagati e’ piu’ che legittimo imporre questo tipo di sanzione ''alla luce della gravita’ dell'accusa, data la "recidivita’ dimostrata dai giovani". Gia’ il Tribunale di Bologna, nel dicembre 2007, aveva imposto ai due giovani di rimanere rigorosamente chiusi in casa di notte "con riguardo ai gravi indizi di commissione di numerosi incendi provocati dal settembre del 2005".
Inutilmente i due giovani accusati si sono rivolti alla Cassazione, sostenendo tra l'altro che erano trascorsi "oltre sei mesi dall'ultimo episodio contestato". La Prima sezione penale ha respinto i ricorsi di A. G. e F. A., sostenendo che "la misura" applicata dell'obbligo di dimora con divieto di uscita notturna deve "ritenersi giustificata dalla singolare recidivita’ specifica dimostrata dai giovani indagati".

Ricovero in camera a pagamento, la visita del medico non si paga

Monito ai pazienti, la norma non prevede il pagamento della prestazione in regime libero professionale - CASSAZIONE CIVILE, Sezione I, Sentenza n. 18453/2007

Il cittadino che fruisce di un ricovero ospedaliero in camera a pagamento non e' tenuto a pagare anche la prestazione offerta dal medico. Lo sottolinea la Cassazione con una sentenza della Prima sezione civile che da' ragione ad un paziente della Versilia, Raffalele G., ricoverato d'urgenza in ospedale per un intervento chirurgico urologico. Al paziente, l'ex Usl 3 della Versilia, si legge nella sentenza 18453, "aveva imputato con le spese di degenza in una camera speciale imposta dalla carenza di posti nelle corsie ordinarie gratuite, anche il corrispettivo delle prestazioni dei medici in regime libero professionale".

Dalla Cassazione uno stop agli omeopati improvvisati

CASSAZIONE PENALE, Sezione VI, Sentenza n. 34200 del 06/08/2007

Anche se i rimedi omeopatici non sono riconosciuti dallo Stato, devono comunque essere prescritti da chi e’ medico. Diversamente, chiunque prescriva medicinali omeopatici senza essere in possesso del titolo di medico va incontro a una sicura condanna penale per esercizio abusivo della professione medica (art. 348 c.p.), anche se i pazienti sono consapevoli che la persona a cui si sono affidati non ha conseguito alcuna laurea in medicina.
In questo modo, la Suprema Corte ha annullato l'assoluzione accordata dalla Corte d'Appello di Bologna a Marcello M., che "aveva esercitato, attraverso visite mediche, diagnosi e terapie l'attivita’ di medico", dal '93 al gennaio '98, "senza aver conseguito alcuna abilitazione dell'esercizio della professione medica". Per il giudice di merito, settembre 2005, l'uomo andava assolto perche’ prescrivendo medicine di origine naturale non aveva compiuto atti riconducibili all'attivita’ propria di un medico. Tanto piu’ che i suoi pazienti sapevano benissimo che non era un medico.
Di parere contrario la Cassazione che ha invece accolto il ricorso della Procura di Bologna. Per gli Ermellini integra il reato di esercizio della professione medica la condotta di chi effettua diagnosi e rilascia prescrizioni e ricette sanitarie per prodotti omeopatici perche’ tali attivita’ rientrano nell'esercizio di un'attivita’ sanitaria che presuppone, per il legittimo espletamento, il possesso di un titolo valido e idoneo. E cio’ anche sei rimedi omeopatici non sono riconosciuti dallo Stato. ,Non essendo essi vietati, sono rimessi alla libera scelta del paziente d'accordo con il suo medico curante dal quale le ricette devono essere redatte. In caso contrario sarebbe paradossale imporre oneri a chi intende curare pazienti dopo essersi formato su testi della scienza medica ufficiale e non esigerli, invece, per chi voglia svolgere un'attivita’ terapeutica in base a nozioni e metodi alternativi non riconosciuti dalla comunita’ scientifica.Tra le attivita’ di esclusiva competenza dei medici, secondo la Cassazione, figurano la chiropratica, l'agopuntura, i messaggi terapeutici, l'ipnosi curativa, la fitoterapia, l'idrologia. Possono invece stare abbastanza tranquilli quanti si rivolgono a ottici per la prescrizione di lenti a contatto: perche’ per questi, sottolinea piazza Cavour, non e’ prevista la laurea in medicina. Stesso discorso per l'attivazione di una ginnastica oculare rieducativa mediante apparecchiatura elettronica, la depilazione con gli aghi, la misurazione della pressione arteriosa non seguita da giudizio diagnostico, la gestione in un centro tricologico con finalita’ di miglioramento estetico, la consulenza dietetica in un centro di rieducazione alimentare, la vendita di erbe con indicazione della loro modalita’ di azione, la realizzazione di tatuaggi. In tutti questi casi non serve la laurea del medico.

Vietato modificare la Playstation

Vendere microchip in grado di modificare l’utilizzabilita’ di una consolle elettronica costituisce reato. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che ha annullato una sentenza della Corte d’appello di Bolzano nei confronti del titolare di una ditta specializzata della Bassa Atesina finita nel mirino della Sony che contestava la violazione del «diritto d’autore».

I fatti in questione risalgono al 2002. La riforma legislativa in materia di pirateria e contraffazione di supporti informatici e’ dell’anno successivo. Proprio per questo motivo al commerciante altoatesino di microchip era stato contestato il reato di violazione delle norme sul diritto d’autore. I giudici bolzanini avevano mandato assolto l’imputato ma ora la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza rimandando gli atti ad un’altra sezione della Corte d’appello. Al centro della vicenda c’era la possibilita’ di modificare le capacita’ elettroniche della Playstation 2 messa in commercio dalla Sony. Con i microchip messi in commercio dall’imputato la consolle in questione si trasformava in un vero e proprio personal computer, una «bomba» iper tecnologica in grado di leggere non solo in videogiochi ufficiali, autorizzati Sony, ma anche quelli «taroccati», masterizzati o scaricati da internet. La Sony si era sempre opposta in sede legale ad ogni manipolazione della consolle con l’obbiettivo di ottenere di avere un completo controllo-monopolio sui giochi venduti. I giudici di Bolzano non avevano pero’ accolto le tesi dei legali del colosso informatico giapponese. Ora la Corte di Cassazione ha ribaltato la situazione.

Al di la’ delle innovazioni tecnologiche che portano sempre piu’ a prodotti informatici, digitali e multimediali fruibili da chiunque - spiegano i giudici della terza sezione penale della Cassazione - rimane un concetto di base che e’ quello della protezione del prodotto messo in commercio e quindi del diritto d’autore da difendere. Pertanto anche se cambiano i prodotti, come in questo caso, e non esiste un richiamo specifico della legge alla nuova tecnologia, in base all’art.171 della legge 633 e’ punibile «chiunque produce, utilizza, importa, detiene per la vendita, pone in commercio, vende noleggia o cede a qualsiasi titolo sistemi atti ad eludere, decodificare o rimuovere le misure di protezione del diritto d’autore o dei diritti connessi». Questa formulazione, sottolineano infine i giudici della Suprema Corte, comprende anche l’elusione o rimozione dei sistemi di protezione integrati fra supporto informatico e l’apparato destinato ad essere utilizzato. Nel corso del giudizio di merito l’imputato si era invece difeso sostenendo che la vendita del microchip fosse legittima partendo dal presupposto che chi acquista un bene (la playstation) ha il diritto di farne quello che vuole.

I genitori devono accompagnare i figli a scuola

Per la Cassazione l'Istituto non è tenuto a comunicare le assenze


I genitori devono vigilare affinchè i figli rispettino l'obbligo scolastico, anche se non avvertiti delle assenze dei ragazzi da parte dell' istituto scolastico. La Cassazione si è così espressa sul caso di alcuni bambini nomadi che andavano a mendicare invece di stare a scuola. I genitori dei bambini di un campo nomade della provincia di Reggio Calabria erano assolti in Appello perchè, secondo i giudici, non avendo ricevuto comunicazioni dalla direzione dell'Istituto scolastico non potevano sapere che i figli non erano a scuola. La Terza Sezione Penale della Cassazione, invece, ha dato torto ai giudici di Reggio Calabria, sostenendo che non basta mandare i figli a scuola ma che i genitori devono controllare sempre che siano tutti i giorni in classe. Centinaia, ogni anno, sono i casi di bambini di famiglie nomadi che non vanno a scuola per essere impiegati tutto il giorno nell'accattonaggio. Le autorità scolastiche devono affrontare anche le difficoltà a trovare i genitori di questi ragazzini per poter comunicare con loro su decisioni dell'istituto o rendimento degli alunni. I giudici della Cassazione, nella sentenza numero 33847, hanno stabilito che: «L'obbligo imposto a chiunque sia rivestito di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore di impartirgli o far impartire l'istruzione obbligatoria implica anche l'obbligo di vigilare e controllare il minore per assicurarsi che questi si rechi realmente a scuola per ricevere l'istruzione». E questo specialmente di fronte a lunghe e ingiustificate assenze, come in questo caso. Inoltre la mancata comunicazione da parte della scuola non è motivo sufficiente per discolpare i genitori. I giudici hanno pertanto dichiarato nulla la sentenza d'Appello, senza rinvio perchè i reati erano comunque prescritti.

Stadio vietato ai calciatori rissosi

Stadio sbarrato anche per i calciatori e i dirigenti violenti e non solo per i tifosi. Il questore, secondo quanto stabilito dalla Cassazione, può infatti vietare l'ingresso allo stadio anche ai tesserati di federazioni sportive che si rendono protagonisti di risse in campo «indipendentemente da ogni altro provvedimento di competenza degli organi della disciplina sportiva». La linea dura dei magistrati della suprema corte arriva con la sentenza 33864 della terza sezione penale, che ha in sostanza stabilito che lo Stato può intervenire anche nei confronti dei tesserati rissosi allo stadio, e non solo dei tifosi, indipendentemente dai provvedimenti presi dalla giustizia sportiva.
I giudici della Cassazione hanno accolto il ricorso della procura di Santa Maria Capua Vetere che si era opposta a una ordinanza del gip del Tribunale della stessa città con la quale il giudice si era rifiutato di convalidare il provvedimento del questore che aveva inibito per 18 mesi l'accesso allo stadio a un dirigente e a un calciatore della società sportiva "Calvi risorta", entrambi tesserati della Figc, perché protagonisti di una rissa sul campo da gioco poi proseguita negli spogliatoi.
Il gip, nel giugno 2006, non convalidando il divieto imposto dal questore aveva sostenuto che i provvedimenti previsti dall'articolo 6 della legge 401/89 «non si applicano alle condotte poste in essere nei campi da giochi o nelle immediate vicinanze da tesserati di federazioni sportive» e questo perché «esistono possibilità di sanzioni specifiche da parte dei competenti organi federali». Di diverso avviso la Cassazione che, applicando la linea dura, ha sottolineato come «le misure adottabili ai sensi della legge 401 dell'89, con riferimento a turbative nello svolgimento di manifestazioni sportive, si applicano» anche nei confronti di «tesserati di federazioni sportive e indipendentemente da ogni altro provvedimento di competenza degli organi della disciplina sportiva». La Corte ha accolto quindi la tesi della procura di Santa Maria Capua Vetere, secondo la quale «non può ipotizzarsi una rinuncia di giurisdizione da parte dello Stato in favore delle federazioni sportive, data la diversità tra tutela dell'ordine pubblico e repressione di condotte contrarie alla regolamentazione sportiva».
Ad Antonio V. e a Giuseppe B., un dirigente e un calciatore della società sportiva "Calvi risorta" il questore di Caserta, con provvedimento del 6 giugno 2006, aveva imposto il divieto di accesso ai campi di calcio per 18 mesi, prescrivendo inoltre l'obbligo di presentarsi ai carabinieri in concomitanza con gli incontri di calcio disputati dalla società di appartenenza. A bloccare il provvedimento del questore era stato il gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che, nel giugno del 2006, oltre a sostenere la carenza di elementi probatori sulla rissa, aveva rilevato che i provvedimenti previsti dalla legge dell'89 non si possono applicare ai tesserati di federazioni sportive in quanto «esistono possibilità di sanzioni specifiche da parte dei competenti organi federali».
Contro questa decisione ha fatto ricorso con successo in Cassazione la Procura di Santa Maria Capua Vetere. La suprema Corte ha accolto il ricorso, scrive il relatore Aldo Fiale, sostenendo che «la tesi» del gip del Tribunale «è errata». Una condotta «non rispettosa delle regole del gioco - annota infatti piazza Cavour - ma comunque finalisticamente inserita nel contesto di un'attività sportiva ed intimamente connessa alla pratica dello sport, è ben diversa da quella tenuta nell'ipotesi in cui la gara agonistica costituisca soltanto l'occasione dell'azione violenta». Da qui l'applicazione della linea dura da parte della Cassazione che sottolinea ancora come «il decreto del questore è stato emesso a tutela dell'ordine pubblico, posto in pericolo dalle condotte» del dirigente sportivo e del calciatore, «la cui materialità è del tutto avulsa dall'esplicazione di attività agonistica e trae dal contesto sportivo mera occasione all'origine del comportamento illecito».
Ora il gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dovrà ripronunciarsi sul caso, tenendo conto del verdetto della Cassazione.