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Multa valida anche se notificata su modulo senza la firma dell'agente accertatore

In tema di sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, e per il caso di contestazione non immediata della infrazione, l'art. 385 del d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 - regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada - prevede al terzo comma che, in tale caso, il verbale redatto dall'organo accertatore rimane agli atti dell'ufficio o comando, mentre ai soggetti ai quali devono essere notificati gli estremi viene inviato uno degli originali o copia autenticata a cura del responsabile dello stesso ufficio o comando, e che, allorquando il verbale sia stato redatto con sistema meccanizzato o di elaborazione dati, esso viene notificato con il modulo prestampato recante la intestazione dell'ufficio o comando predetti; pertanto, il modulo prestampato notificato al trasgressore, pur recando unicamente l'intestazione dell'ufficio o comando cui appartiene il verbalizzante, e’ parificato per legge in tutto e per tutto al secondo originale o alla copia autenticata del verbale ed e’, al pari di questi, assistito da fede privilegiata, con la conseguenza che le sue risultanze possono essere contestate solo mediante la proposizione della querela di falso (Cass. 20117/2006; 1226/05 ed altre).

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- CASSAZIONE CIVILE, Sezione II, Sentenza n. 22088 del 22/10/2007

Espropriazione per pubblica utilità. necessario un serio ristoro

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 5-bis, commi 1 e 2, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, e, in via consequenziale, dell’art. 37, commi 1 e 2, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilita’). Le disposizioni censurate, le quali prevedevano per le espropriazioni per pubblica utilita’ un’indennita’ spettante al proprietario tra il 50 ed il 30 per cento del valore di mercato del bene, con consentono un ragionevole legame con il valore effettivo del bene, ne’ un serio ristoro in termini di indennita’. Quest’ultima e’ inferiore alla soglia minima accettabile di riparazione dovuta ai proprietari espropriati, anche in considerazione del fatto che la pur ridotta somma spettante ai proprietari viene ulteriormente falcidiata dall’imposizione fiscale, la quale si attesta su valori di circa il 20 per cento. Il legittimo sacrificio che puo’ essere imposto in nome dell’interesse pubblico non puo’ giungere sino alla pratica vanificazione dell’oggetto del diritto di proprieta’.

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- CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza n. 348 del 24/10/2007

Confiscabili i veicoli utilizzati per commettere reati


Non e’ fondata la questione di legittimita’ costituzionale dell'art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall'art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalita’ di settori della pubblica amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada).
La questione di costituzionalita’ era stata sollevata in relazione alla possibilita’ di disporre la confisca di ciclomotori o di motoveicoli nei casi in cui siano stati adoperati per commettere un reato.
La disposizione e’ stata pero’ ritenuta immune dal denunciato vizio di costituzionalita’ dalla Corte, che ha considerato non irragionevole la scelta del legislatore di prevedere una piu’ intensa risposta punitiva, allorche’ un reato sia commesso mediante l'uso di ciclomotori o motoveicoli, con riferimento all'adozione di una sanzione accessoria, qual e’ la confisca, idonea a scongiurare la reiterata utilizzazione illecita del mezzo, specie quando sussiste un rapporto di necessaria strumentalita’ tra l'impiego del veicolo e la consumazione del reato.
La Corte ha poi sottolineato che e’ principio ormai consolidato quello secondo cui «rimodellare il sistema della confisca, stabilendo alcuni canoni essenziali al fine di evitare che l'applicazione giudiziale della sanzione amministrativa produca disparita’ di trattamento» costituisce un intervento «riservato alla discrezionalita’ legislativa»
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- CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza n. 345 del 19/10/2007

Nel giudizio davanti al giudice di pace, la domanda di decisione secondo diritto assorbe quella secondo equità

Quando al giudice di pace sono proposte nello stesso giudizio una domanda a decisione secondo equita’ e una domanda a decisione secondo diritto, anche la domanda principale deve essere decisa secondo diritto, tutte le volte che tra le due domande vi sia una connessione caratterizzata dalla circostanza che la decisione richiede l'accertamento di almeno un fatto costitutivo, impeditivo, modificativo od estintivo comune ad entrambe, cosi’ che l'accoglimento dell'una implichi il rigetto o l'accoglimento dell'altra

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- CASSAZIONE CIVILE, Sezione III, Sentenza n. 19536 del 21/09/2007

In una classe è ammesso solo un alunno diversamente abile - TAR LAZIO, Sezione III quater, Sentenza n. 9926 del 10/10/2007

Di regola in una classe non vi puo’ essere che un bambino diversamente abile. La possibilita’ di piu’ svantaggiati e’ prevista solo in via eccezionale, quale ipotesi residuale ed in presenza di handicap lievi. Le classi iniziali che ospitano piu’ di un alunno in situazioni di handicap sono costituite con non piu’ di venti iscritti; per le classi intermedie il rispetto di tale limite deve essere rapportato all’esigenza di garantire la continuita’ didattica nelle stesse classi. L’organizzazione nel suo complesso dei servizi scolastici e di quelli sociali deve essere tale da assicurare in concreto la presenza di condizioni ottimali per favorire l’integrazione scolastica del bambino svantaggiato.

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- TAR LAZIO, Sezione III quater, Sentenza n. 9926 del 10/10/2007

Disposizioni integrative e correttive al R.D. 16/3/1942, n. 267, nonche' al D.Lgs. 09/01/2006, n. 5, in materia di fallimento - D. LGS.169/2007

Multe valide anche se il segnale del divieto di sosta è distante - CASSAZIONE CIVILE, Sezione II, Sentenza n. 19683 del 24/09/2007

Ai sensi dell'art. 81 del reg. c.d.s. i segnali di prescrizione devono essere installati in corrispondenza o il piu’ vicino possibile al punto in cui inizia la prescrizione. Nel concetto di prossimita’ rientra la collocazione di un cartello di divieto a nove metri di distanza dal punto interessato dalla prescrizione (nella specie, divieto di sosta) in quanto nove metri rappresentano una distanza minima sicuramente riconducibile al concetto di "piu’ vicino possibile" espresso dalla pertinente normativa. Tale distanza, inoltre, e’ funzionale alla necessita’ d'adeguato preavviso dell'inizio del divieto.


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- CASSAZIONE CIVILE, Sezione II, Sentenza n. 19683 del 24/09/2007

Valide le clausole di pensionamento obbligatorio stabilite nei contratti collettivi

Dalla Corte di giustizia europea si al pensionamento dei lavoratori a una certa eta’, purche’ questi abbia una pensione per sopravvivere e la normativa dello Stato non ecceda nei mezzi facilitare i pensionamenti. Per i giudici lussemburghesi, Il divieto di qualsiasi discriminazione basata sull’eta’, come realizzato dalla direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parita’ di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, dev’essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale in forza della quale sono considerate valide le clausole di pensionamento obbligatorio stabilite nei contratti collettivi.

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- Corte di giustizia delle Comunità europee, Grande Sezione, Sentenza del 16/10/2007

Caso Eulana Englaro. Per la Cassazione il sondino nasogastrico non costituisce accanimento terapeutico

Non e’ accanimento terapeutico il sondino nasogastrico che alimenta Eluana Englaro, ha precisato la Suprema Corte nelle motivazioni con cui ha accolto con rinvio il ricorso del padre della giovane. Si tratta invece di un trattamento sanitario che puo’ essere superato dalla richiesta del tutore se si verificano le due condizioni, dell'irreversibilita’ dello stato vegetativo e della volonta’ (presunta) del paziente prima dell'incidente.


"Sulla base delle considerazioni che precedono - si precisa nelle 60 pagine di motivazioni -, la decisione del giudice (di staccare il sondino, ndr), dato il coinvolgimento nella vicenda del diritto alla vita come bene supremo, puo’ essere nel senso dell'autorizzazione soltanto quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre che la persona abbia la benche’ minima possibilita’ di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno; e sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, concordanti e convincenti, della voce del rappresentato, tratta dalla sua personalita’, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l'idea stessa di dignita’ della persona".


Una sentenza con la quale la Cassazione sembra aver mostrato una certa apertura verso il cosiddetto testamento biologico che in Italia non e’ ancora regolato da una legge.

Rignano Flaminio. I racconti dei minori non spontanei

L’anticipazione sulla motivazione della sentenza in rassegna e’ gia’ stata pubblicata su Litis.it il 9 Ottobre 2007. Clicca qui per leggere.

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- CASSAZIONE PENALE, Sezione III, Sentenza n. 37147 del 09/10/2007

Il fermo amministrativo non può sovrapporsistatuizioni giurisdizionali

La natura amministrativa del provvedimento di fermo non consente un utilizzo dell’istituto in modo tale da sovrapporsi, ed anche prevalere, rispetto agli accertamenti e alle statuizioni giurisdizionali. E’ quanto ha stabilito la sesta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza 4625/2007. In particolare, sottolineano i giudici amministrativi, il provvedimento di fermo non puo’ essere utilizzato per riproporre eccezioni e pretese gia’ oggetto di accertamenti giurisdizionali, benche’ non definitivi, svolti proprio in relazione alla pretesa creditoria del privato. In caso contrario, si consentirebbe all’amministrazione di utilizzare tale istituto per sovrapporsi ad una accertamento gia’ avvenuto.

La vicenda trae origine dal ricorso proposto dalla SF Snc avverso il provvedimento a firma del Direttore generale reggente dell’Azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo AIMA, con cui si disponeva la sospensione dei pagamenti, c.d. fermo amministrativo, per la somma di L. 550 milioni nei confronti della ricorrente. Il Tar in prima istanza aveva respinto il ricorso aa con la decisione in rassegna il Consiglio di Stato, affermando l’enunciato principio di diritto, ha annullato tale decisione.

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- CONSIGLIO DI STATO, Sezione VI, Sentenza n. 4625 del 04/09/2007

Viola le norme antirazzismo chu espone allo stadio la bandiera fascista

Rischia il carcere il tifoso che, durante una partita, sventola una bandiera che riporta il fascio littorio. E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza 37390 dell'11 ottobre scorso, ha respinto il ricorso di un trentatreenne romano che, durante una partita di calcio, "aveva sventolato un tricolore riportante nella parte bianca un fascio littorio".

L'uomo era stato condannato, a febbraio 2004, a quindici giorni di reclusione dal giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma. La Corte d'Appello aveva confermato nel dicembre del 2005. Quindi, il ricorso in Cassazione, che i giudici della terza sezione penale della Suprema corte hanno respinto. In particolare, hanno precisato che le accuse non riguardavano la violazione delle norme "che vietano la riorganizzazione del disciolto partito fascista": il gesto di sventolare la bandiera senza altre manifestazioni "di contorno" non era "un pericolo per le istituzioni democratiche". Quanto, piuttosto, la violazione delle disposizioni sull'eliminazione delle discriminazioni razziali.

"Il reato di cui l'imputato deve rispondere - hanno messo nero su bianco - "e’ quello previsto dall'art. 2 del d.l. 122 del 1993 che punisce chi, in pubbliche riunioni, compie manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle associazioni, movimenti o gruppi di cui all'art. 3 della L. 654/75 (eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale)". Non solo. "Tali associazioni o movimenti diffondono idee fondate sulla superiorita’ o sull'odio razziale ed etnico". Nel caso sottoposto all'esame della Corte, insomma, gli ingredienti per una condanna c'erano proprio tutti: "la riunione, ove l'emblema era stato mostrato, era pubblica ed il simbolo era tipico del fascismo che ha indubbiamente emanato leggi di discriminazione per motivi razziali".

Non importa, poi, che il fascio littorio sia stato, prima del movimento fascista, usato (come aveva sostenuto il tifoso) anche "dagli Etruschi o da Mazzini". Oggi come oggi, conclude il Collegio di legittimita’, "in Italia e’ collegato da tutti i consociati al regime fascista che e’ stato l'ultimo utilizzatore del simbolo".

- CASSAZIONE PENALE, Sezione III, Sentenza n. 37390 del 11/10/2007

Convegno: “Magistratura onoraria: aggiornamento, confronto e prospettive di riforma”. Salerno, 19 e 20 Ottobre 2007

Il 19 e 20 ottobre i magistrati onorari del distretto di Salerno si incontreranno presso il “Grand Hotel Salerno” per discutere sul tema “Magistratura onoraria: aggiornamento, confronto e prospettive di riforma”.

Il convegno, organizzato dalla Commissione per la formazione della Magistratura onoraria per il Distretto di Salerno, si articolera’ in due giornate di studio. La prima, sara’ preceduta, nel pomeriggio, dai saluti del dottor Domenico Nastro, Presidente della Corte di Appello di Salerno, e del dottor Luigi Mastrominico, Presidente del Tribunale di Salerno, oltre che dei Presidenti dei Consigli degli Ordini Forensi di Salerno e Nocera Inferiore (avvocati Americo Montera ed Aniello Cosimato) nonche’ del Rappresentante della segreteria dell’Osservatorio sulla Giustizia di Salerno, avvocato Matteo Pistolese. La prima sessione dei lavori sara’ presieduta dal dottor Bruno de Filippis (modera l’avvocato Domenicantonio Siniscalchi) nella quale si articoleranno le relazioni del professor Francesco De Santis, Ordinario di diritto processuale civile nell’Universita’ di Salerno e del dottor Raffaello Magi, Giudice del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Nella seconda parte della giornata, moderata dall’ avvocato Anna Lisa Buonadonna, e’ previsto l’intervento del dottor Ernesto Aghina, Magistrato di Cassazione, gia’ componente del Comitato Scientifico del Csm. La seconda sessione dei lavori, prevista per il sabato mattina, sara’ coordinata dal dottor Rocco Alfano e vedra’ la presenza del professor Pasquale Stanzione, Ordinario di diritto privato nell’Universita’ di Salerno. Seguira’ la tavola rotonda nella quale si discutera’, in particolare, della riforma della Magistratura Onoraria, che vedra’ l’intervento del dottor Cosimo Ferri, gia’ Presidente VIII Commissione del CSM, del dottor Gabriele Longo, Presidente Unione Nazionale Giudici di Pace, della dottoressa Katya Gamberini, della dottoressa Lucia Fiorillo nonche’ del dottor Claudio Castelli, Capo del Dipartimento dell’Ufficio dell’Organizzazione Giudiziaria del Ministero della Giustizia.

Divieto di divulgazione di notizie riservate tutelato da segreto d'ufficio

La Cassazione ritorna ad occuparsi del delicato rapporto tra diritto di accesso e segreto d’ufficio. E lo fa ribadendo un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il divieto di divulgazione di notizie riservate tutelato da segreto d'ufficio comprende non solo informazioni sottratte all'accesso ma anche, tra le notizie accessibili, quelle che non possono essere date alle persone che non hanno diritto di riceverle, sia quelle svelate a soggetti non titolari del diritto di accesso o senza il rispetto delle modalita’ previste.

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- CASSAZIONE PENALE, Sezione VI, Sentenza n. 30148 del 24/07/2007

La Consulta sconfessa la... ficta confessio

E’ costituzionalmente illegittimo l'art. 13, comma 2, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonche’ in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), nella parte in cui stabilisce: «in quest'ultimo caso i fatti affermati dall'attore, anche quando il convenuto abbia tardivamente notificato la comparsa di costituzione, si intendono non contestati e il tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa».
La disposizione censurata detta una regola del processo contumaciale in contrasto con la tradizione del diritto processuale italiano, nel quale alla mancata o tardiva costituzione mai e’ stato attribuito il valore di confessione implicita.
La legge di delegazione era finalizzata all'emanazione di norme che, senza modifiche della competenza per territorio o per materia, fossero dirette ad assicurare una piu’ rapida ed efficace definizione di procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria nonche’ in materia bancaria e creditizia mediante «la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali». La censurata disposizione e’ estranea alla riduzione dei termini processuali e non conforme alla direttiva della concentrazione del procedimento. La considerazione della «piu’ rapida ed efficace definizione dei procedimenti», indicata come finalita’ della delega, costituisce un utile criterio d'interpretazione sia della legge di delegazione, sia delle disposizioni delegate, ma non puo’ sostituirsi alla valutazione dei principi e criteri direttivi, cosi’ come determinati dalla legge di delegazione. Tutto cio’ anche a voler trascurare il rilievo secondo il quale non sempre l'introduzione della ficta confessio contribuisce alla rapida ed efficace definizione dei procedimenti.


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- CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza n. 340 del 12/10/2007

Milano, sequestrato il semaforo dalle multe d'oro

'Il vampiro rosso di Segrate' lo chiamano in zona. E il 'vampiro' è sempre stato implacabile, con tutti. E' un semaforo posto a un incrocio di una delle strade più trafficate in brianza, la Cassanese. Evitare che la telecamera posta sopra il semaforo non facesse una multa era cosa da pochissimi fortunati. Intanto è difficile individuarlo, posto com'è dopo una curva e seminascosto da un albero.
Soprattutto è tarato in modo singolare: il tempo di durata del giallo è mediamente di due secondi e mezzo. Troppo poco per notarlo e fermare l'auto. La conseguenza, inevitabile, è che la telecamerina riprende inesorabilmente l'infrazione al codice della strada per trasformare il tutto, poi, in una multa 'salata' e in punti in meno sulla patente. Quel semaforo definito 'vampiro' si trasformava però in una sorta di 'Re Mida' per le casse dell'amministrazione comunale che nell'ultimo anno ha incrementato le entrate per infrazioni dai circa 700.000 euro nel 2006 ai 2 milioni e 800 mila euro dell'anno in corso.
L'anomalia di quel semaforo è tale che tutti ne parlavano. Addirittura l'ex comandante dei vigili del comune si era dato da fare per risolvere una situazione insostenibile. Ma nel suo tentativo di rendersi 'paladino' dei cittadini multati aveva finito per collezionare una denuncia per diffamazione. Ma neanche questo ha fermato i 'multati'. Che, alla fine, in 112 si sono riuniti e, attraverso un legale, l'avvocato Francesca Fuso di Milano, hanno presentato un esposto alla Procura di Milano. Nella denuncia, oltre al famigerato 'vampiro', il legale ha ricostruito anche l'iter e le presunte irregolarità commesse nell'appalto comunale che ha permesso alla Scae spa, società nota nella zona, fornitrice di impianti semaforici, segnali stradali e sistemi di monitoraggio, tra le prime fornitrici dei vigili locali, di aggiudicarsi anche il 'lavoro' sulla Cassanese.
Così l'inchiesta è scattata. Ad occuparsene è il sostituto procuratore Alfredo Robledo che ha iscritto quattro persone nel registro degli indagati per ipotesi di reato che vanno dall'abuso d'ufficio, al falso materiale e allaturbativa d'asta. I quattro sono il comandante dei vigili di Segrate nonché presidente della Commissione della gara d'appalto, un altro dirigente dell'amministrazione comunale, il titolare della Scae, e il titolare della CiTiESSE.
E oggi sono partite le perquisizioni, i sequestri e le acquisizioni. I militari del nucleo provinciale della Guradia di finanza di Milano hanno infatti sequestrato il t-red posto in cima al semaforo e altri quattro apparecchi per la rilevazione automatica delle infrazioni di altri quattro semafori posti in prossimità di altri tre incroci. I finanzieri hanno poi perquisito le abitazioni e gli uffici dei quattro indagati notificando loro un'ordine di esibizione relativo alla documentazione relativa alla gara finita nel mirino della magistratura.

Semaforo giallo? Per la Cassazione divieto di passaggio

Il semaforo e' giallo? Gli automobilisti hanno l'obbligo ''di arrestare l'auto''. Lo sottolinea la Cassazione (quarta sezione penale sentenza 37581) nel confermare la condanna per omicidio colposo nei confronti di un automobilista della capitale, Pietro T., condannato a sei mesi di reclusione con la condizionale e a risarcire il danno in favore della parte civile ''per avere, alla guida della propria autovettura, nel transitare su viale Cristoforo Colombo, impegnato l'incrocio con via Vedana quando il semaforo segnalava il rosso nel suo senso di marcia, cosi' cagionando un incidente a causa del quale Massimo D. che, a bordo del proprio motociclo, si trovava in fase di attraversamento del viale, ha riportato lesioni mortali''. (Cassazione Penale, Sezione IV, Sentenza n. 34581 del 12/10/2007)

Appalto di lavori pubblici non conforme al diritto comunitario

Il comportamento di un’autorita’ nazionale incaricata di applicare il diritto comunitario, che sia in contrasto con quest’ultimo, non puo’ giustificare l’esistenza, in capo ad un operatore economico, di un legittimo affidamento sul fatto di poter beneficiare di un trattamento in contrasto con il diritto comunitario (v. sentenze 26 aprile 1988, causa C-316/86, Krόcken, Racc. pag. 2213, punto 24, e 1Ί aprile 1993, cause riunite da C-31/91 a C-44/91, Lageder e a., Racc. pag. I‑1761, punto 38).

Quale conseguenza dell’affermato principio di diritto, la Corte ha ritenuto non giustificata la prosecuzione di una convenzione di appalto - stipulata senza pubblicita’ e procedura di messa in concorrenza – a causa del legittimo affidamento della ditta appaltatrice tenuto conto della durata del rapporto contrattuale protrattosi per piu’ di dieci anni prima dell’avvio della fase precontenziosa del procedimento.

Su Litis.it la sentenza per esteso:
- Corte di giustizia delle Comunità europee, Sezione II, Sentenza del 04/10/2007

Il consumatore può procedere contro il creditore nell'ipotesi di mancata esecuzione del contratto relativo ai beni o ai servizi finanziati dal credito

Gli artt. 11 e 14 della direttiva del Consiglio 22 dicembre 1986, 87/102/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/7/CE, devono essere interpretati nel senso che ostano a che il diritto del consumatore di procedere contro il creditore, previsto dall’art. 11, n. 2, della direttiva medesima, come modificata, sia subordinato alla condizione che la previa offerta di credito rechi menzione del bene o della prestazione di servizi finanziati.

Su Litis.it la sentenza per esteso:
- Corte di giustizia delle Comunità europee, Sezione II, Sentenza del 04/10/2007

Opposizione all’esecuzione. Mancata riassunzione, estinzione e relativa pronuncia dichiarativa

di Raffaele Cirillo

L’opposizione all’esecuzione consiste nella contestazione da parte del debitore del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, e si puo’ proporre prima dell’inizio dell’esecuzione oppure nel corso dello svolgimento del processo esecutivo.
Prima dell’inizio dell’esecuzione, l’opposizione si propone come opposizione al precetto, mediante citazione proposta davanti al giudice competente; mentre, l’opposizione successiva all’inizio dell’esecuzione si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione, il quale fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti davanti a se’ ed il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto. Su istanza di parte, il giudice dell’esecuzione, concorrendo gravi motivi, sospende il processo esecutivo. Quando il processo e’ sospeso nessun atto puo’ essere compiuto, salvo diversa disposizione del giudice.
Se competente, il giudice dell’esecuzione - previa iscrizione a ruolo - provvede anche all’istruzione della causa; altrimenti rimette le parti davanti al giudice competente. Il giudizio di opposizione si conclude con sentenza – assoggettata ai normali mezzi di impugnazione - che puo’ essere di accoglimento o di rigetto.
Normalmente il processo esecutivo si conclude con il raggiungimento del soddisfacimento del diritto del creditore (o del debitore in caso di accoglimento dell’opposizione); anche se, sono previsti dalla legge dei modi anomali di estinzione come: la rinuncia (art. 629 c.p.c), l’inattivita’ delle parti (art. 630 c.p.c.) e la mancata comparizione della parti all’udienza (art. 631 c.p.c.).
In riferimento all’inattivita’ delle parti, merita una lettura l’ordinanza del 27.03.2007 del Tribunale di Salerno, IV sezione civile, con la quale e’ stata rigettata una richiesta di estinzione della procedura esecutiva. In tale giudizio, con istanza depositata in Cancelleria in data 26.07.2006, il difensore del debitore esecutato, facendo rilevare la mancata iscrizione a ruolo del giudizio di opposizione all’esecuzione da egli introdotto a suo tempo, in sede sommaria, ha chiesto che il processo esecutivo fosse dichiarato estinto ai sensi dell’art. 630 c.p.c. per inattivita’ delle parti. Il creditore opposto facendo leva sullo stesso presupposto ha instato per l’assegnazione delle somme pignorate.
Preliminarmente, il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che il processo esecutivo si trovava nello stato della sospensione - disposta ai sensi dell’art. 624 c.p.c. - con ordinanza del 08.04.2005 con la quale era stato fissato alle parti il termine per la iscrizione a ruolo del giudizio di opposizione in 60 giorni.
Malgrado la certificazione di cancelleria prodotta dal debitore istante circa la mancata iscrizione a ruolo del giudizio di opposizione, il giudice non ha ritenuto che il provvedimento di sospensione dell’esecuzione precedentemente disposto sia automaticamente caducato poiche’ il presupposto essenziale e’ il rigetto – con il passaggio in giudicato della relativa sentenza – della opposizione ovvero la dichiarazione di estinzione del relativo giudizio.
Cio’ posto, conclude il giudice, che a fronte della concomitante inerzia delle parti nella coltivazione della fase di merito del giudizio di opposizione, l’unica via percorribile – per lucrare l’effetto estintivo del giudizio – sia quella di una riassunzione del giudizio di opposizione (previa iscrizione a ruolo) ad opera della parte interessata al solo fine di ottenere, in via di azione, ancor prima che di eccezione, una pronunzia dichiarativa dell’estinzione del relativo giudizio, funzionale alla riattivazione successiva del processo esecutivo, ai sensi dell’art. 627 c.p.c..

Su Litis.it la sentenza per esteso
- TRIBUNALE DI SALERNO, Sezione IV Civile, Ordinanza 27/03/2007

Il ricorso all’ordinanza extra ordinem e’ consentito solo al fine di prevenire gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini

Il ricorso all’ordinanza extra ordinem e’ consentito soloal fine di prevenire gravi pericoli che minacciano l’incolumita’ dei cittadini. Il requisito della contingibilita’ va inteso come eccezionalita’ dell’evento determinata da causa imprevista ed accidentale, tale da non poter essere affrontata con i mezzi ordinari predisposti dall’ordinamento.

Su Litis.it la sentenza per esteso:
- CONSIGLIO DI STATO, Sezione VI, Sentenza n. 5093 del 03/10/2007

Sul Blog "UGUALE PER TUTTI": Luigi De Magistris scrive ai colleghi

di Luigi De Magistris
(Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro)

Ho deciso di scrivere questa mail in quanto vi e’ stata – ieri – la seduta della sezione disciplinare e la prossima udienza e’ fissata per il 17 dicembre.

Non entro nel merito delle accuse che il Ministro della Giustizia ha promosso nei miei confronti per non violare il dovere di riservatezza che mi sono imposto per il doveroso rispetto verso il C.S.M. e per non essere accusato, poi, di voler intimidire l'organo di auotogoverno della magistratura. Non vorrei, tra l'altro, a breve, trovarmi a dovermi difendere anche dalle contestazioni di associazione sovversiva o quanto meno di cospirazione politica mediante associazione o mediante accordo.

La voglia di parlare l'avrei perche’ da molti giorni leggo ed ascolto di "nefandezze" di cui mi sarei reso autore, vedo i miei pubblici accusatori (ministri e sottosegretari) ribadire in pubblico le accuse (che reputo totalmente infondate) – senza che mi possa difendere pubblicamente (un po’ come se il P.M. che indaga un soggetto andasse poi in televisione a sostenere che quella persona e’ delinquente) – di cui mi sarei "macchiato".

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Rignano, le motivazioni a sostegno della scarcerazione delle maestre

"Allo stato delle investigazioni, e’ consentito rilevare che, se vi sono state violenze sessuali (ipotesi non scartata dal Tribunale), esse sono state perpetrate con modalita’ differenti da quelle riferite nelle denunce". Lo sottolinea la cassazione nella sentenza 37147, depositata oggi, che contiene le motivazioni a sostegno della scarcerazione delle maestre e dei due indagati per gli abusi sessuali sui bambini della scuola materna Olga Rovere di Rignano Flaminio. In pratica la Suprema Corte invita gli inquirenti che si stanno occupando del caso a seguire una pista diversa da quella in base alla quale i presunti abusi sarebbero avvenuti in ambito scolastico.
La Cassazione ricorda che i "sintomi di disagio si sono manifestati non durante l'anno scolastico, ma in epoca successiva" e che "non in armonia con quanto avviene normalmente per il danno post-traumatico" in alcuni dei piccoli "si sono manifestati dopo le prime denunce" e solo in un secondo momento i genitori "hanno fatto una lettura retroattiva di comportamenti gia’ ritenuti nell'alveo della normalita’ mentre all'uscita' dalla scuola non hanno, inspiegabilmente riscontrato nei loro bambini (oggetto fino a poco tempo prima di atrocita’ di ogni tipo) alcun segnale di sofferenza e di disagio psichico".
Per questo, ad avviso della Cassazione, il Tribunale del riesame ha fatto bene a ventilare la possibilita’ che il "malessere dei bambini sia derivato, se non totalmente, almeno in parte dagli effetti della cosiddetta 'vittimizzazione secondaria' (cioe’ dallo stress cui sono stati sottoposti a causa delle reiterate e disturbanti interviste e visite mediche e dallo stato di ansia dei loro genitori che si e’ riverberato sulla serenita’ della famiglia ed ha inciso sul senso di sicurezza dei bambini)".
Infine Piazza Cavour non puo’ fare a meno di rilevare che a fronte di presunte "violenze fisiche invasive" ci sono solo due certificati medici che inoltre non danno certezza che i bimbi abbiano subito atti sessuali. Queste le motivazioni per le quali la Cassazione non ha ritenuto ci fossero ne prove ne indizi che autorizzassero la misura cautelare nei confronti dei sospetti."La possibilita’ che gli adulti abbiano influito con domande suggestive sulla spontaneita’ del racconto dei bambini" al centro della vicenda della scuola Olga Rovere di Rignano Flaminio "ha avuto conferma almeno in due casi". A sostenerlo sono i giudici della Corte di cassazione nella sentenza che contiene le motivazioni a sostegno della scarcerazione delle maestre e dei due indagati per gli abusi sessuali.
I giudici di Piazza Cavour non escludono che ci possa essere stato un "contagio dichiarativo", come sostenuto dai difensori degli indagati, e affermano che in due casi si sono rilevati nelle videoregistrazioni "atteggiamenti prevaricatori" che evidenziano "una forte e tenace pressione dei genitori sui minori" e "una forte opera di induzione e di suggerimento nelle risposte".
Per quanto riguarda la "buona fede" dei genitori dei piccoli sui quali sarebbero stati commessi i presunti abusi, la cassazione sottolinea che "e’ indiscusso che hanno agito con l'intenzione di tutelare al meglio e di proteggere i loro bambini, ed altri bambini, dal pericolo di reati gravissimi che possono determinare danni irreversibili al loro futuro, equilibrato sviluppo’". La cassazione ritiene anche "apprezzabile" la cautela usata dal Tribunale del riesame che "non ha espressamente concluso sulla evidenza di un meccanismo di suggestione a catena dei genitori, ma ha rilevato che le loro denunce erano 'se non sospette, sicuramente particolari' perche’, prima di avvisare l'autorita’, si erano piu’ volte riuniti, confrontandosi a vicenda e scambiandosi informazioni, anche alla presenza dei figli". Ecco perche’ la tesi del "contagio dichiarativo".

- CASSAZIONE PENALE, Sezione III, Sentenza n. 37147 del 09/10/2007

Decreto Ingiuntivo. La pendenza della lite retroagisce al momento del deposito del ricorso

Nella domanda di ingiunzione di pagamento, poiche’ la fondamentale funzione della notifica del ricorso e del decreto e’ di provocare il contraddittorio mentre, come e’ stato rilevato (v. cass. n. 5597 del 1992), "la prevenzione e’ un effetto della costituzione del processo e non della realizzazione del contraddittorio", non contrasta con la predetta funzione riconoscere che il principale effetto processuale della pendenza retroagisca al momento della proposizione della domanda. Ne’ il fatto che, a differenza dagli altri procedimenti su ricorso, nel procedimento d'ingiunzione il giudizio a cognizione piena e’ meramente eventuale, puo’ escludere l'applicazione del principio generale enunciato nell'indicata decisione delle sezioni unite, perche’, comunque, il diritto di difesa dell'ingiunto e’ garantito dalla necessita’ che, per il verificarsi della litispendenza, con decorrenza dalla data del deposito del ricorso, il ricorso stesso e il decreto debbono essere notificati. Il principio di diritto che, pertanto, deve essere affermato e’ che il terzo comma dell'art. 643, c.p.c. deve interpretarsi nel senso che la lite introdotta con la domanda di ingiunzione deve considerarsi pendente a seguito della notifica del ricorso e del decreto, ma gli effetti della pendenza retroagiscono al momento del deposito del ricorso.

Su Litis.it la sentenza per esteso:
- CASSAZIONE CIVILE, Sezioni Unite, Ordinanza n. 20596 del 01/10/2007

Ricettazione: strette le maglie per la concessione dell'attenuante del danno lieve

Le Sezioni Unite della cassazione ci ripensano e cambiano radicalmente orientamento – in senso molto piu’ ristrettivi - in materia di concessione del danno di speciale tenuita’ relativamente alle ipotesi di ricettazione di assegni bancari sottoscritti in bianco. Ed infatti, con la sentenza n. 10446 del 07/07/1984 le SS.UU avevano affermato il principio di diritto secondo cui per il riconoscimento dell’attenuante della speciale tenuita’ occorresse aver riguardo esclusivamente al valore della cosa ricettata.
Con la sentenza in rassegna, invece, I Supremi giudici hanno stabilito che, ai fini della concessione dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuita’, la relativa valutazione non deve riguardare solo il valore economico della cosa ricettata, ma deve fare riferimento a tutti i danni oggettivamente prodotti quale conseguenza diretta del fatto delittuoso.
In definitiva, i danni devono essere apprezzati in termini oggettivi e nella globalita’ degli effetti prodotti, senza che ci si possa limitare al mero apprezzamento economico dell’importo dell’assegno ricettato.

(M.M. © Litis.it, 09/10/2007)

Su Litis.it la sentenza per esteso:
- CASSAZIONE PENALE, Sezioni Unite, Sentenza n. 35535 del 26/09/2007

Sequestro Nasr Osama Mustafa e compressione dei poteri dell'autorita' giudiziaria - CORTE COSTITUZIONALE, Ordinanza n. 338 del 26/06/2007

Giudizio di ammissibilita' del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Segreto di Stato - Indagini della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano sul sequestro di persona di Nasr Osama Mustafa Hassan, alias Abu Omar, svolte nei confronti di funzionari del SISMI e di agenti di un Servizio straniero - Note del Presidente del Consiglio dei ministri riguardanti l'esistenza di documenti coperti da segreto di Stato - Ricorso per conflitto tra poteri dello Stato proposto nell'interesse della Sezione G.I.P del Tribunale di Milano, in persona del Presidente f.f. e del G.I.P. assegnatario del procedimento n. 1966/05 - Lamentata compressione delle attribuzioni e dei poteri dell'autorita' giudiziaria "garantiti dagli artt. 101 e ss. della Costituzione" - Dedotta mancata esplicitazione delle ragioni essenziali dell'apposizione del segreto - Proposizione del ricorso successivamente alla emissione del decreto che dispone il giudizio e alla trasmissione dei relativi atti al giudice del dibattimento - Incerta enunciazione dell'organo configgente - Insussistenza della legittimazione attiva della Sezione G.I.P., quale articolazione dell'ufficio giudiziario di appartenenza, e del Presidente di detta Sezione, privo, in quanto tale, di attribuzioni giurisdizionali proprie - Inammissibilita' del conflitto. - Nota del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 novembre 2005, prot. n. USG/2.SP/1318/50/347; nota del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 luglio 2006, prot. n. USG/2.SP/813/50/347; direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 luglio 1985, n. 2001.5/707. - Costituzione, artt. 101 e seguenti; legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 37

CORTE COSTITUZIONALE, Ordinanza n. 338 del 26/09/2007

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di ammissibilita’ del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato, «nell'interesse della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano, in persona del Presidente f.f., dott. Filippo Grisolia, e del G.I.P. assegnatario del procedimento n. 1966/05, dott.ssa Caterina Interlandi», nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione alla nota (prot. n. USG/2.SP/1318/50/347) dell'11 novembre 2005 a firma del Presidente del Consiglio dei ministri, on. Silvio Berlusconi; alla nota (prot. n. USG/2.SP/813/50/347) del 26 luglio 2006 a firma del Presidente del Consiglio dei ministri, on. Romano Prodi, ed alla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 luglio 1985, n. 2001.5/707, in materia di tutela del segreto di Stato nel settore degli Organismi di informazione e di sicurezza, promosso con ricorso depositato in cancelleria il 15 giugno 2007 ed iscritto al n. 7 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2007, fase di ammissibilita’.
Udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 15 giugno 2007, «nell'interesse della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano, in persona del Presidente f.f., dott. Filippo Grisolia, e del G.I.P. assegnatario del procedimento n. 1966/05, dott.ssa Caterina Interlandi», e’ stato proposto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Presidente del Consiglio, «in relazione alle note dell'11 novembre 2005 e del 26 luglio 2006, nonche’ alla direttiva 30.7.1985 n. 2001.5/07 [recte: 2001.5/707], in quanto comportano un'illegittima compressione delle attribuzioni e dei poteri propri dell'autorita’ giudiziaria garantiti dagli artt. 101 e ss. della Costituzione»;
che, nel ricostruire, quale antefatto del conflitto, la vicenda del sequestro di persona di Nasr Osama Mustafa Hassan, detto Abu Omar, avvenuto in Milano il 17 febbraio 2003, i ricorrenti evidenziano, in particolare, che tutti gli atti di indagine del procedimento in questione erano stati depositati ai sensi dell'art. 415-bis del codice di procedura penale in data 6 ottobre 2006; che in data 5 dicembre 2006 era stato richiesto il rinvio a giudizio degli imputati e in data 9 gennaio 2007 era stata iniziata l'udienza preliminare, senza che in tale sede venisse «manifestata una qualsiasi opposizione rispetto all'allegazione agli atti dei documenti sequestrati il 5 luglio 2006 nell'ufficio del SISMi e delle registrazioni telefoniche»; che, infine, in data 16 febbraio 2007, il Giudice dell'udienza preliminare aveva emesso il decreto che dispone il giudizio nei confronti degli imputati, ivi compresi tutti gli appartenenti al SISMI;
che i ricorrenti riassumono il contenuto del ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti del Giudice per le indagini preliminari in funzione di Giudice dell'udienza preliminare (dopo analogo ricorso proposto nei confronti della Procura della Repubblica di Milano), in relazione al decreto che dispone il giudizio, sottolineando come, in quel giudizio, il Giudice dell'udienza preliminare – costituendosi e sollevando a sua volta, con ricorso incidentale, conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio – avesse ribadito che, nel corso del procedimento penale in questione, non era mai stata eccepita, nelle forme e nei modi previsti dal codice di procedura penale, l'esistenza di un segreto di Stato sui documenti e sulle notizie acquisiti nel corso delle indagini e utilizzati dal giudice dell'udienza preliminare;
che, per quanto concerne l'ammissibilita’ del ricorso, i ricorrenti ricordano, quanto al profilo soggettivo, la «pacifica giurisprudenza» della Corte che riconosce la legittimazione del giudice per le indagini preliminari in funzione di giudice dell'udienza preliminare – quale organo competente a dichiarare definitivamente la volonta’ del potere cui appartiene – ad essere parte di conflitti di attribuzione; e deducono, quanto al profilo oggettivo, la circostanza che oggetto del conflitto risulta essere l'illegittima compressione dei poteri propri dell'autorita’ giudiziaria, derivante da atti e comportamenti di altro potere dello Stato;
che, nel merito, il ricorso per conflitto e’ articolato in una serie di motivi, a premessa dei quali i ricorrenti richiamano princi’pi e direttive cui la materia del segreto di Stato dovrebbe ispirarsi, desumibili tanto dalla giurisprudenza costituzionale (segnatamente dalla sentenza n. 86 del 1977), quanto dalla normativa vigente (legge 24 ottobre 1977, n. 801); e si sofferma, in particolare, sull'affermazione secondo la quale il potere di secretazione risulta circoscritto, sotto il profilo oggettivo, ai soli casi in cui sia strettamente funzionale alla salvaguardia di supremi ed imprescindibili interessi dello Stato: sicche’ il segreto non potrebbe in nessun caso essere apposto «per impedire l'accertamento di fatti eversivi dell'ordine democratico»;
che, del resto, il legislatore ha individuato negli artt. 202 e 256 cod. proc. pen. «il meccanismo processuale» del segreto, formalizzando le modalita’ di eccezione di esso e le relative conseguenze processuali: e cio’ al fine di garantire che l'esercizio del potere di secretazione avvenga non soltanto nel rispetto dei limiti imposti dalla Costituzione, ma in forza di princi’pi di legalita’, correttezza e lealta’, secondo forme ed atti tipici;
che per contro – si dolgono i ricorrenti – il Presidente del Consiglio «ha preteso di “sbarrare” l'esercizio della funzione giurisdizionale con atti del tutto “atipici” […], cosi’ determinando un'illegittima compressione delle attribuzioni costituzionali dell'Autorita’ giudiziaria»;
che, in proposito, viene dedotta innanzitutto la violazione del principio di legalita’ con riferimento alla nota dell'11 novembre 2005 ed alla direttiva 30 luglio 1985, n. 2001.5/707, «se interpretate» alla stregua di quanto afferma il Presidente del Consiglio dei ministri nel suo ricorso: vale a dire quale divieto all'autorita’ giudiziaria di acquisire ed utilizzare tutte le informazioni ed i documenti attinenti ai rapporti tra Servizi italiani e stranieri;
che gli atti in questione, lungi dall'essere ipotesi eccezionali di apposizione del segreto, prospetterebbero «una generale preclusione all'autorita’ giudiziaria in relazione ad un lungo elenco di materie», cosi’ configurando un «anomalo onere» per il giudice di richiedere al Presidente del Consiglio una «espressa deroga» al segreto genericamente imposto: deroga alla quale resterebbe subordinato il pieno esercizio dei poteri giurisdizionali;
che ancora, secondo i ricorrenti, la medesima direttiva 30 luglio 1985, n. 2001.5/707, sarebbe illegittima, sotto un diverso e autonomo profilo, «se interpretata come vincolante per l'autorita’ giudiziaria in assenza di una rituale opposizione del segreto e di una successiva conferma»;
che, invero, con la direttiva citata, il Presidente del Consiglio ha effettivamente imposto ai funzionari del CESIS, del SISMI e del SISDE di opporre il segreto di Stato in relazione ad un «elenco di cose, atti, documenti e notizie» (allegate alla direttiva medesima), la cui divulgazione «appare in via di principio idonea ad arrecare pregiudizio» ai fondamentali interessi in relazione ai quali e’ finalizzato il segreto stesso; ma ha altresi’ specificato che «non sempre i documenti e le notizie contenute nell'elenco allegato sono, di per se’, concretamente idonei, se divulgati, ad arrecare danno a quegli interessi»;
che l'elenco allegato alla direttiva 30 luglio 1985, n. 2001.5/707, si fonda espressamente su di una valutazione meramente astratta della pericolosita’ dei documenti e delle notizie ivi indicate, demandando alla successiva fase della conferma, da parte del Presidente del Consiglio, la valutazione della sussistenza in concreto dei presupposti del segreto: in caso contrario – in assenza, cioe’, di una rituale opposizione del segreto e di una sua successiva conferma, come avvenuto, secondo il ricorrente, nel caso di specie – la direttiva in esame risulta illegittima e gravemente lesiva delle attribuzioni costituzionali dell'autorita’ giudiziaria;
che, quale ulteriore motivo di ricorso, i ricorrenti prospettano l'illegittimita’ della nota del 26 luglio 2006, se con essa il Presidente del Consiglio ha inteso secretare ex post tutti i documenti e le notizie – anche quelli gia’ acquisiti dal pubblico ministero in assenza di qualsiasi eccezione concernente l'esistenza del segreto di Stato – relativi al sequestro di Abu Omar ed, in generale, alla pratica delle cosiddette renditions;
che la classificazione di una notizia come segreta deve necessariamente essere antecedente alla sua acquisizione da parte dell'autorita’ giudiziaria, cosi’ come chiaramente si evince dalla normativa vigente e dai suoi lavori preparatori, pena, in caso contrario (e cioe’ in caso di preclusione a posteriori dell'acquisizione delle fonti di prova), l'evenienza di un uso distorto del potere di secretazione; senza considerare che la nota in questione, opponendo una secretazione generica e fondata «su di una sottile ambiguita’ delle espressioni utilizzate», pare inerire non gia’ ai singoli documenti richiesti dalla Procura di Milano al Ministro della difesa, quanto piuttosto alle tematiche oggetto di questi documenti;
che le note del Presidente del Consiglio dell'11 novembre 2005 e del 26 luglio 2006 risulterebbero, inoltre, gravemente lesive delle attribuzioni proprie dell'autorita’ giudiziaria in quanto prive di motivazione: ogni atto relativo al segreto di Stato reca infatti – secondo il rimettente – la necessita’ della motivazione in relazione alla concretezza del pericolo, ad essa legandosi la legittimita’ del potere di secretazione;
che viene, inoltre, dedotta la violazione del principio di correttezza e lealta’, sotto il profilo della contraddittorieta’ del comportamento dell'esecutivo, il quale dapprima avrebbe vietato all'autorita’ giudiziaria l'acquisizione di tutta una serie di informazioni relative ai rapporti tra il Servizio segreto italiano e quelli stranieri; poi, nel corso delle indagini, avrebbe costantemente rassicurato la medesima autorita’ giudiziaria circa l'inesistenza di un segreto di Stato sulla vicenda Abu Omar; infine, ad indagini concluse, avrebbe riaffermato l'esistenza del segreto tanto sul sequestro, quanto sulle cosiddette extraordinary renditions, come del resto dimostrerebbe la nota stampa della Presidenza del Consiglio del 5 giugno 2007, che, sebbene documento privo di valore legale, denota appieno l'atteggiamento oscillante dell'esecutivo nei confronti della autorita’ giudiziaria;
che una ulteriore censura a sostegno del conflitto viene dedotta con riferimento alla mancata comunicazione della nota dell'11 novembre 2005 e della nota del 26 luglio 2006 al Comitato Parlamentare per i servizi di informazione e di sicurezza e per il segreto di Stato, da parte del Presidente del Consiglio;
che tale procedura, disciplinata espressamente dall'art. 16 della legge n. 801 del 1977, vale a demandare al Comitato parlamentare la funzione di controllo – di legittimita’ e di merito – della secretazione apposta dal Presidente del Consiglio: con la conseguenza che la relativa omissione comporta una grave illegittimita’ dell'operato del Presidente del Consiglio, che ha cosi’ eluso il controllo parlamentare;
che, infine, i ricorrenti deducono, in via subordinata, l'illegittimita’ della secretazione in questione, perche’ apposta su fatti che, integrando ipotesi di fatti eversivi dell'ordine costituzionale, non potrebbero mai essere coperti dal segreto di Stato;
che tali fatti, nelle intenzioni del legislatore del 1977 e sulla scorta degli insegnamenti della Corte costituzionale, risultano essere non soltanto quelli che mettono in pericolo l'assetto democratico-parlamentare dell'ordinamento, ma anche quelli che contrastano con i princi’pi supremi sanciti dalla Costituzione e, quindi, innanzitutto, con la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo: e non par dubbio – concludono i ricorrenti – che il sequestro di persona in questione, al pari di ogni extraordinary rendition, comporti molteplici e gravi violazioni dei diritti umani e, in particolare, del diritto alla liberta’ ed alla sicurezza, alla liberta’ dalla tortura e dai trattamenti crudeli, come stigmatizzato anche dalla risoluzione del Parlamento europeo del 14 febbraio 2007;
che, alla luce di tali censure, i ricorrenti concludono chiedendo, in via istruttoria, che sia ordinata al predetto Comitato parlamentare di controllo «la trasmissione delle eventuali comunicazioni del Presidente del Consiglio in merito alle note dell'11 novembre 2005 e del 26 luglio 2006, nonche’ delle relative determinazioni adottate in sede di controllo»; ed al Presidente del Consiglio dei ministri «l'esibizione di ogni altro atto, diverso da quelli impugnati, con cui il segreto in questione sarebbe stato apposto»;
che, nel merito, i ricorrenti chiedono che la Corte dichiari che non spetta al Presidente del Consiglio dei ministri «vietare all'autorita’ giudiziaria l'acquisizione e l'utilizzazione di tutte le informazioni ed i documenti attinenti ad un “elenco di materie” e subordinare il pieno esercizio della funzione giurisdizionale in tali materie ad un'espressa deroga del Presidente del Consiglio»; che non spetta, altresi’, al suddetto organo «secretare notizie e documenti ex post, dopo che gli stessi siano stati legittimamente acquisiti dall'autorita’ giudiziaria», ne’ «secretare notizie e documenti senza indicarne le ragioni essenziali»; in via subordinata, chiedono che la Corte dichiari che non spetta al Presidente del Consiglio «disporre la secretazione di atti e notizie riguardanti le extraordinary renditions in quanto eversive dell'ordine costituzionale»; con conseguente annullamento «in parte qua» delle note dell'11 novembre 2005 e del 26 luglio 2006, nonche’ della direttiva 30 luglio 1985, n. 2001.5/707.
Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte costituzionale e’ chiamata a delibare senza contraddittorio in ordine all'ammissibilita’ del conflitto di attribuzione, sotto il profilo della sussistenza della «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza»;
che, sotto il profilo soggettivo, il giudice per le indagini preliminari, in funzione di giudice dell'udienza preliminare, e’ legittimato a sollevare conflitto, avuto riguardo alla giurisprudenza di questa Corte che riconosce ai singoli organi giurisdizionali la legittimazione ad essere parti di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto, in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione, competenti a dichiarare definitivamente, nell'esercizio delle relative funzioni, la volonta’ del potere cui appartengono (da ultimo, in conflitto ex art. 68 Cost., sentenza n. 304 del 2007 e ordinanza n. 24 del 2006);
che, tuttavia, la legittimazione in concreto del giudice dell'udienza preliminare a sollevare conflitto in tanto sussiste in quanto l'atto impugnato sia suscettibile di incidere direttamente sul contenuto dei provvedimenti giurisdizionali che il giudice dell'udienza preliminare e’ chiamato ad emettere (decreto che dispone il giudizio di cui all'art. 429 del codice di procedura penale o sentenza di non luogo a procedere di cui all'art. 425 dello stesso codice) e quindi «sull'esercizio dei poteri attinenti alla giurisdizione dello stesso giudice» (in conflitto ex art. 68 Cost., sentenza n. 294 del 2002);
che, nella specie, il conflitto e’ stato sollevato dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio e la trasmissione dei relativi atti al giudice del dibattimento, sicche’ il giudice dell'udienza preliminare, non essendo piu’ titolare in atto del potere giurisdizionale in ordine al giudizio medesimo, difetta della relativa legittimazione;
che le considerazioni dianzi svolte trovano conferma anche nella incerta enunciazione di quale sia l'organo confliggente, risultando il conflitto testualmente sollevato «nell'interesse della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano, in persona del Presidente f.f., dott. Filippo Grisolia, e del G.I.P. assegnatario del procedimento n. 1966/05, dott.ssa Caterina Interlandi»;
che, peraltro, la legittimazione attiva della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano, quale articolazione ordinamentale dell'ufficio giudiziario di appartenenza, non e’ configurabile, non potendosi riconnettere all'ufficio, in quanto tale, alcuna funzione giurisdizionale propria e, dunque, alcuna lesione di attribuzioni costituzionalmente presidiate;
che analoghi rilievi valgono anche in riferimento alla posizione del Presidente (effettivo o, come nella specie, facente funzioni) di detta sezione, essendo incarico privo di attribuzioni giurisdizionali proprie;
che, pertanto, va dichiarata l'inammissibilita’ del ricorso.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto, «nell'interesse della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano, in persona del Presidente f.f., dott. Filippo Grisolia, e del G.I.P. assegnatario del procedimento n. 1966/05, dott.ssa Caterina Interlandi», con il ricorso in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 settembre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 settembre 2007.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA

Indagini sul sequestro di Nasr Osama Mustafa Hassan e segreto di Stato - CORTE COSTITUZIONALE, Ordinanza n. 337 del 26/09/2007

Giudizio di ammissibilita' del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Segreto di Stato - Indagini della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano sul sequestro di persona di Nasr Osama Mustafa Hassan, alias Abu Omar, svolte nei confronti di funzionari del SISMI e di agenti di un Servizio straniero - Note del Presidente del Consiglio dei ministri nonche' dell'Ufficio Stampa e del Portavoce della Presidenza del Consiglio riguardanti l'esistenza di documenti coperti da segreto di Stato - Ricorso per conflitto tra poteri dello Stato sollevato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano - Lamentata utilizzazione del segreto di Stato in relazione a fatti eversivi dell'ordine costituzionale - Denunciato eccesso di potere e falsita' dei presupposti - Dedotta mancata esplicitazione delle ragioni essenziali dell'apposizione del segreto - Lamentata violazione del principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale e quindi delle attribuzioni costituzionali del pubblico ministero - Sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi - Ammissibilita' del conflitto - Comunicazioni e notificazioni conseguenti. - Nota del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 luglio 2006, prot. n. USG/2.SP/813/50/347; nota del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 novembre 2005, prot. n. USG/2.SP/1318/50/347; nota dell'Ufficio Stampa e del Portavoce del Presidente del Consiglio dei ministri per la stampa del 5 giugno 2007; direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 luglio 1985, n. 2001.5/707. - Costituzione, art. 112; legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 37

CORTE COSTITUZIONALE, Ordinanza n. 337 del 26/09/2007

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di ammissibilita’ del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione alla nota (prot. n. USG/2.SP/813/50/347) del 26 luglio 2006 a firma del Presidente del Consiglio dei ministri, on. Romano Prodi; alla nota (prot. n. USG/2.SP/1318/50/347) dell'11 novembre 2005 a firma del Presidente del Consiglio dei ministri, on. Silvio Berlusconi; alla nota per la stampa del 5 giugno 2007 dell'Ufficio Stampa e del Portavoce del Presidente del Consiglio dei ministri, on. Romano Prodi, ed alla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 luglio 1985, n. 2001.5/707, in materia di tutela del segreto di Stato nel settore degli Organismi di informazione e di sicurezza, promosso con ricorso depositato in cancelleria il 12 giugno 2007 ed iscritto al n. 6 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2007, fase di ammissibilita’.
Udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 12 giugno 2007, la «Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, in persona del Procuratore della Repubblica», ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del «Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore», in relazione alla nota n. USG/2.SP/813/50/347 del 26 luglio 2006, con la quale – con riferimento alla vicenda del sequestro di persona di Nasr Osama Mustafa Hassan, alias Abu Omar, avvenuto in Milano il 17 febbraio 2003 – l'attuale Presidente del Consiglio dei ministri, on. Romano Prodi, comunicava alla Procura della Repubblica di Milano che su tutti i «fatti concernenti il sequestro», sulle vicende «che lo hanno preceduto» e «in generale [su] tutti i documenti, informative o atti relativi alla pratica delle c.d. “renditions”» era stato apposto il segreto di Stato da parte del precedente Presidente del Consiglio, on. Silvio Berlusconi, e che tale segreto era stato «successivamente confermato dallo scrivente»; nonche’ in relazione alla nota n. USG/2.SP/1318/50/347 dell'11 novembre 2005 del Presidente del Consiglio dei ministri, on. Silvio Berlusconi; ed in relazione alla Nota per la stampa del 5 giugno 2007 dell'Ufficio Stampa e del Portavoce del Presidente del Consiglio, on. Romano Prodi, e, «per quanto possa occorrere», alla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 30 luglio 1985 n. 2001.5/707;
che il ricorrente ricostruisce le circostanze di fatto da cui origina il conflitto evidenziando, in particolare, che la Procura della Repubblica di Milano – nel corso delle indagini preliminari svolte in relazione al citato sequestro di persona – aveva richiesto ai Direttori del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI) e del Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (SISDE) di comunicare se, in base ad accordi con la CIA, questa fosse tenuta a comunicare ai servizi italiani la presenza nel territorio nazionale di personale dipendente e se i Servizi stessi avessero intrattenuto rapporti, con riferimento al suddetto sequestro, con personale dipendente della CIA presente in Italia;
che, con la citata nota dell'11 novembre 2005, l'allora Presidente del Consiglio, on. Silvio Berlusconi, aveva affermato, tra l'altro, di voler accogliere la richiesta di «fornire gli elementi di informazione richiesti nella misura in cui gli stessi risultavano partecipabili all'Autorita’ Giudiziaria», ribadendo, tuttavia, l'«indefettibile dovere istituzionale [di] salvaguardare, nei modi e nelle forme normativamente previsti, la riservatezza di atti, documenti, notizie e ogni altra cosa sia idonea a recar danno agli interessi protetti» dall'art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato);
che nello svolgimento di ulteriori attivita’ di indagine – quali l'esame di persone informate dei fatti e le intercettazioni telefoniche – non era stato mai opposto il segreto di Stato;
che la Procura milanese aveva disposto una perquisizione negli uffici del SISMI, siti nella via Nazionale, n. 230, di Roma, in uso ad un funzionario di tale Servizio – eseguita il 5 luglio 2006 e conclusasi con il sequestro di materiale informatico e di documentazione – e che neppure in questo caso era stato opposto alcun segreto di Stato: ed anzi, con missiva dell'11 luglio 2006, il Direttore del SISMI aveva confermato l'inesistenza dell'apposizione del segreto di Stato ai fatti relativi al sequestro di persona di Abu Omar;
che, tuttavia, il medesimo Direttore del SISMI, successivamente sottoposto ad interrogatorio in qualita’ di indagato, aveva confermato che la vicenda de qua non era coperta da segreto di Stato, ma che, cio’ nonostante, gli risultava impossibile fornire la prova della propria estraneita’ ai fatti oggetto della contestazione senza il riferimento a documenti, non ulteriormente precisati, coperti da segreto di Stato;
che, in esito a tale dichiarazione, la Procura della Repubblica di Milano aveva quindi richiesto al Ministro della difesa, con missiva del 18 luglio 2006, la trasmissione di tutti i documenti, informative o atti relativi al sequestro di persona in oggetto e, piu’ in generale, alla pratica delle cosiddette renditions, vale a dire dei sequestri e trasferimenti di sospetti terroristi al di fuori delle procedure legali, e, con altra missiva in pari data, aveva richiesto al Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione all'effettiva esistenza di tali atti e alla loro secretazione, di «valutare l'opportunita’» di revocare l'apposizione del segreto medesimo;
che, con nota del 26 luglio 2006, il Presidente del Consiglio dei ministri aveva rilevato che, in ordine alla documentazione richiesta, «risulta effettivamente apposto il segreto di Stato dal precedente Presidente del Consiglio dei ministri»; che il segreto stesso «e’ stato successivamente confermato dallo scrivente»; e che non «sussistono, nell'attuale contesto, le condizioni per rimuovere il segreto di Stato da detta documentazione»;
che, a sua volta, il Ministro della difesa, con missiva del 27 luglio 2006, si era adeguato alla risposta del Presidente del Consiglio, dichiarandosi vincolato al segreto di Stato;
che il ricorrente afferma ancora che la Procura della Repubblica di Milano, a fronte delle citate comunicazioni, «non formulava alcun interpello ai sensi dell'art. 202 del codice di procedura penale o dell'art. 256 dello stesso codice, ritenendo gli elementi eventualmente acquisibili non essenziali per la definizione del processo, ed avendo gia’ raccolto elementi di prova ritenuti sufficienti per esercitare l'azione penale»; tale azione era stata esercitata con la richiesta di rinvio a giudizio, cui era seguito, in esito all'udienza preliminare, il decreto che disponeva il giudizio per tutti gli imputati, in data 16 febbraio 2007;
che, successivamente, il Presidente del Consiglio dei ministri aveva proposto conflitto nei confronti della Procura della Repubblica di Milano (conflitto dichiarato ammissibile con l'ordinanza n. 124 del 2007) ed, al riguardo, l'odierno ricorrente evidenzia come, gia’ nella memoria di costituzione in giudizio, si fosse ritenuta la menzionata nota del 26 luglio 2006 doppiamente lesiva delle attribuzioni costituzionali della Procura: in primo luogo, perche’ tale documento farebbe retroagire «il segreto sui fatti di causa all'11 novembre 2005 o ad altra data anteriore ancorche’ sconosciuta», cosi’ pretendendo di «incidere sulla celebrazione e/o sull'esito del processo» in corso; in secondo luogo, perche’ l'apposizione del segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio sui fatti concernenti il sequestro di Abu Omar e su tutti i documenti, informative o atti relativi alle cosiddette extraordinary renditions, renderebbe comunque piu’ difficoltosa «l'effettuazione di ulteriori indagini della Procura di Milano» su tali fatti;
che, infine, l'Ufficio Stampa e del Portavoce della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 5 giugno del 2007, aveva diffuso una nota nella quale per un verso, in palese contrasto con quanto contenuto nella nota del 26 luglio 2006, si affermava che «sul fatto “rapimento Abu Omar” del 17/2/03 non esiste agli atti del SISMI nessun documento quindi nessun segreto di Stato»; per altro verso, si precisava come la nota dell'11 novembre 2005 andasse intesa nel senso che il segreto di Stato veniva apposto «su tutti i documenti riguardanti la politica di difesa contro il terrorismo dopo l'11 settembre 2001», cosi’ comprendendo «ovviamente, anche il delicato capitolo riguardante il rapporto con gli alleati»;
che – cio’ premesso in fatto – la Procura ricorrente rileva, quanto all'ammissibilita’ del ricorso sotto il profilo soggettivo, come per giurisprudenza costituzionale consolidata, sia da ritenersi pacifica tanto la legittimazione attiva del Procuratore della Repubblica, quanto quella passiva del Presidente del Consiglio dei ministri;
che, con riferimento all'ammissibilita’ sotto il profilo oggettivo, il ricorrente assume che – quale che sia la possibile interpretazione della missiva del Presidente del Consiglio del 26 luglio 2006 – in ogni caso «verrebbe genericamente impedita al pubblico ministero l'acquisizione e l'utilizzazione di tutte le informazioni e di tutti i documenti anche quando non vi sia un'esplicita apposizione ed opposizione di segreto»; con conseguente menomazione delle attribuzioni costituzionali del pubblico ministero;
che, nel merito, il ricorrente denuncia, con un primo motivo di ricorso, la violazione, negli atti contestati, del divieto di coprire con il segreto di Stato fatti eversivi dell'ordine costituzionale, in contrasto con l'art. 12, secondo comma, della legge n. 801 del 1977;
che tale sarebbe, infatti, la configurazione dei gravissimi reati oggetto del procedimento penale (che si iscrivono nel piu’ ampio fenomeno delle cosiddette extraordinary renditions), in quanto contrari ai principi supremi dell'ordinamento e, tra questi, alle norme che garantiscono i diritti inviolabili dell'uomo e, in particolare, a quelle che preservano da «ogni violenza fisica o morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di liberta’ personale», secondo il disposto dell'art. 13, quarto comma, Cost.;
che, con un secondo motivo, il ricorrente denunzia – adducendo il vizio di «eccesso di potere per errore o falsita’ dei presupposti» – l'illegittimita’ della missiva del 26 luglio 2006 del Presidente del Consiglio «perche’ falsamente afferma che il segreto di Stato sui fatti connessi al rapimento di Abu Omar sarebbe stato apposto dal suo predecessore»: invero, nella nota dell'11 novembre 2005, il Presidente del Consiglio dell'epoca, on. Silvio Berlusconi, non aveva affatto inteso «coprire con il segreto di Stato i fatti preparatori, connessi e conseguenti al sequestro di Abu Omar» e sotto tale profilo la successiva nota del 26 luglio 2006 sarebbe appunto illegittima «in quanto in essa si afferma una cosa che non risponde a verita’»;
che nondimeno – prosegue il ricorrente – se la nota del Presidente Berlusconi dovesse essere intesa come appositiva del segreto, essa risulterebbe «illegittima ed inefficace» e, comunque, mai comunicata all'autorita’ giudiziaria; con la conseguenza che «il Presidente Prodi avrebbe fatto assai male a confermarla, coinvolgendo la sua responsabilita’ politica»;
che, con un terzo motivo di ricorso, assumendo la violazione dell'art. 16 della legge n. 801 del 1977, il ricorrente si duole della mancata enunciazione delle ragioni essenziali dell'apposizione del segreto di Stato in entrambe le note della Presidenza del Consiglio (dell'11 novembre 2005 e del 26 luglio 2006);
che il ricorrente evidenzia, infatti, come non solo sia incerta, per le ragioni esposte, l'apposizione del segreto sulla vicenda del sequestro di Abu Omar, ma sarebbe in ogni caso dubbia – qualora si ritenesse avvenuta tale apposizione – l'individuazione dei soggetti che vi avevano provveduto e delle relative modalita’;
che in ogni caso – prosegue il ricorrente, enunciando il quarto motivo delle proprie censure – l'apposizione del segreto non potrebbe avere valore retroattivo «qualora si pretenda che l'apposizione del segreto del 26 luglio 2006 costituisca la conferma di una precedente segretazione, effettuata il 25 novembre 2005 [recte: 11 novembre 2005] o comunque in altra data»;
che infatti, secondo il ricorrente, la missiva del 26 luglio 2006 non fa alcun riferimento alla documentazione sequestrata presso l'ufficio del SISMI di via Nazionale, riferendosi esclusivamente alla documentazione richiesta al Ministro della difesa: nondimeno – sostenendosi da parte del Presidente del Consiglio la tesi della precedente apposizione, con la nota dell'11 novembre 2005, del segreto medesimo e della successiva conferma – esso estenderebbe la secretazione, retroattivamente, «a tutti i documenti e a tutte le notizie gia’ acquisite dal P.M. relativi al sequestro Abu Omar e, in generale, alla pratica delle c.d. renditions»;
che, infine, nel ricorso si assume – quale quinto ed ultimo motivo di doglianza – la violazione del principio dell'obbligatorieta’ dell'azione penale, posto che dalla pretesa del Presidente del Consiglio dei ministri di coprire con il segreto di Stato, giustificato sulla base dei «rapporti con gli alleati», tutte le vicende connesse al rapimento di Abu Omar, deriverebbe una menomazione delle attribuzioni costituzionali del pubblico ministero, incidendosi sull'esercizio della funzione dell'organo dell'accusa e, dunque, sul principio di obbligatorieta’ dell'azione penale (art. 112 Cost.);
che, alla luce di tali censure, il ricorrente ha concluso chiedendo, in via istruttoria, che venga ordinata al Presidente del Consiglio dei ministri l'esibizione della direttiva 30 luglio 1985, n. 2001.5/707, e «di ogni altro atto con cui il segreto in questione sarebbe stato apposto» e, nel merito, che la Corte dichiari che non spetta al Presidente del Consiglio dei ministri – con riferimento al sequestro di persona di Nasr Osama Mustafa Hassan, alias Abu Omar, avvenuto in Milano il 17 febbraio 2003 – «disporre la segretazione di atti e notizie riguardanti le modalita’ progettuali, organizzative ed esecutive del suo rapimento, in quanto esse costituiscono “fatti eversivi dell'ordine costituzionale”»; e che, comunque, non spetta al Presidente del Consiglio «segretare notizie e documenti sia genericamente, sia immotivatamente, sia retroattivamente»; con conseguente richiesta di annullamento «in parte qua» delle note dell'11 novembre 2005 e del 26 luglio 2006 «e, se del caso,» della direttiva del Presidente del Consiglio 30 luglio 1985, n. 2001.5/707, nonche’ della Nota per la stampa del 5 giugno 2007 dell'Ufficio Stampa e del Portavoce del Presidente del Consiglio, Romano Prodi.
Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte costituzionale e’ chiamata a delibare senza contraddittorio in ordine all'ammissibilita’ del conflitto di attribuzione, sotto il profilo della sussistenza della «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza»;
che, quanto alla sussistenza dei requisiti soggettivi, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano e’ legittimato a sollevare conflitto, in conformita’ alla costante giurisprudenza di questa Corte che riconosce al pubblico ministero la legittimazione ad essere parte di conflitti di attribuzione tra poteri, in quanto, ai sensi dell'art. 112 della Costituzione, titolare diretto ed esclusivo dell'attivita’ di indagine finalizzata all'esercizio obbligatorio dell'azione penale (da ultimo, ordinanze n. 124 del 2007, n. 73 del 2006 e n. 404 del 2005);
che deve essere affermata anche la legittimazione a resistere nel conflitto del Presidente del Consiglio dei ministri, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volonta’ del potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato alla stregua delle norme costituzionali che ne definiscono le attribuzioni e della legge 24 ottobre 1977, n. 801 (da ultimo, ordinanze n. 124 e n. 125 del 2007, n. 404 del 2005);
che, con riferimento ai presupposti oggettivi, il ricorso e’ indirizzato a garanzia della sfera di attribuzioni determinata da norme costituzionali, lamentando il ricorrente Procuratore della Repubblica la lesione di funzioni riconducibili all'art. 112 della Costituzione (da ultimo, ordinanze n. 73 del 2006 e n. 404 del 2005 sopra richiamate);
che questa preliminare valutazione, adottata prima facie ed in assenza di contraddittorio, lascia impregiudicata ogni ulteriore e diversa determinazione relativamente anche ai profili attinenti alla stessa ammissibilita’ del ricorso, avuto riguardo, fra l'altro, alla specifica natura delle lesioni prospettate dal ricorrente e degli atti impugnati;
che pertanto, allo stato, va dichiarata l'ammissibilita’ del ricorso, tanto sotto il profilo oggettivo, che sotto quello soggettivo.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso in epigrafe;
dispone:
a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al ricorrente Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano;
b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Presidente del Consiglio dei ministri entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati nella cancelleria di questa Corte entro il termine di venti giorni dalla notificazione, a norma dell'art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 settembre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 settembre 2007.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA

Espulsione di cittadini rumeni Trattato di adesione della Romania all'Unione europea - CORTE COSTITUZIONALE, Ordinanza n. 336 del 26/09/2007

Straniero e apolide - Espulsione - Divieto di espulsione del convivente (padre del nascituro) della donna in stato di gravidanza - Giudizio principale introdotto da cittadino di nazionalita' rumena - Sopravvenuta entrata in vigore del Trattato di adesione della Romania all'Unione europea - Necessita' di nuova valutazione sulla rilevanza della questione - Restituzione degli atti al rimettente. - D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, comma 2, lettera d). - Costituzione, artt. 2, 3, 29, 30 e 31.

CORTE COSTITUZIONALE, Ordinanza n. 336 del 26/09/2007

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell'art. 19, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso con ordinanza del 4 agosto 2006 dal Giudice di pace di Novara sul ricorso proposto da S.S.V. contro la Prefettura di Novara, iscritta al n. 114 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 2007.
Udito nella camera di consiglio del 4 luglio 2007 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.
Ritenuto che, con ordinanza del 4 agosto 2006, il Giudice di pace di Novara ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale dell'art. 19, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui «non estende il divieto di espulsione, previsto dalla norma stessa, allo straniero clandestino che sia altresi’ convivente di una donna in stato di gravidanza, nonche’ padre del nascituro»;
che il giudizio a quo ha ad oggetto l'impugnazione del decreto prefettizio di espulsione emesso in data 26 giugno 2006 nei confronti di S.S.V., cittadino rumeno, in applicazione del disposto di cui all'art. 19 del d.lgs. n. 286 del 1998;
che, secondo quanto riferito dal rimettente, il ricorrente risulterebbe aver avuto una convivenza stabile con una sua connazionale «in stato di gravidanza (al terzo mese) al momento della presentazione del ricorso» e che costui avrebbe chiarito in giudizio di essere il padre del nascituro, «deducendo mezzi di prova a sostegno di tale tesi»;
che, in punto di non manifesta infondatezza, il rimettente osserva che un'eventuale espulsione dello straniero in questione determinerebbe una «lesione del diritto del nascituro ad una piena tutela sociale», con conseguente «disparita’ di trattamento tra il figlio minore di genitori clandestini sposati e quello di genitori clandestini semplicemente conviventi»;
che, in particolare, detta espulsione determinerebbe la lesione di diritti fondamentali della persona, dovendosi ricomprendere in tale categoria quelli alla paternita’ e all'unita’ della famiglia, nonche’ quello del nascituro «ad avere accanto a se’ entrambi i genitori, quanto meno nel corso dei primi mesi/anni di vita»;
che, sotto altro profilo, sempre a giudizio del rimettente, risulterebbe altresi’ violato il diritto/dovere del genitore al mantenimento del proprio figlio, soprattutto con riguardo alla «primissima fase della vita del minore», sancito dall'art. 30 della Costituzione.
Considerato che il Giudice di pace di Novara dubita della legittimita’ costituzionale dell'art. 19, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), in riferimento agli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione, nella parte in cui «non estende il divieto di espulsione, previsto dalla norma stessa, allo straniero clandestino che sia altresi’ convivente di una donna in stato di gravidanza, nonche’ padre del nascituro»;
che, successivamente all'ordinanza di rimessione, e segnatamente in data 1° gennaio 2007, e’ entrato in vigore il Trattato di adesione della Repubblica di Romania all'Unione europea, ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 9 gennaio 2006, n. 16 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di adesione della Repubblica di Bulgaria e della Romania all'Unione europea, con Protocollo e allegati, Atto di adesione ed allegati, Atto finale e dichiarazioni e scambio di lettere, fatto a Lussemburgo il 25 aprile 2005);
che, pertanto, a partire da tale data la Romania e’ entrata a far parte dell'Unione europea;
che, tenuto conto che il ricorrente nel giudizio a quo e’ di nazionalita’ rumena, deve essere disposta la restituzione degli atti al giudice rimettente, affinche’ valuti la perdurante rilevanza della questione sollevata alla luce dello ius superveniens sopra richiamato.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Giudice di pace di Novara.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 settembre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 settembre 2007.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA

Straniero e apolide con figli maggiorenni e Ricongiungimento familiare - CORTE COSTITUZIONALE, Ordinanza n. 335 del 26/09/2007

Straniero e apolide - Figli maggiorenni - Ricongiungimento familiare - Condizione - Incapacita' del figlio di provvedere al proprio sostentamento a causa di uno stato di salute totalmente invalidante - Denunciata violazione del principio di uguaglianza per irragionevolezza e per disparita' di trattamento rispetto al genitore a carico, del principio di tutela della famiglia nonche' del dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare la prole non limitato ai figli minorenni - Sopravvenuta modificazione della norma censurata, ininfluente sulla condizione prevista per il ricongiungimento - Restituzione degli atti al giudice rimettente - Necessita' - Esclusione. - D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 29, comma 1, lettera b-bis). - Costituzione, artt. 3, 29 e 30. Straniero e apolide - Figli maggiorenni - Ricongiungimento familiare - Condizione - Incapacita' del figlio di provvedere al proprio sostentamento a causa di uno stato di salute totalmente invalidante - Denunciata violazione del principio di uguaglianza per irragionevolezza e per disparita' di trattamento rispetto al genitore a carico, del principio di tutela della famiglia nonche' del dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare la prole non limitato ai figli minorenni - Esercizio non irragionevole della discrezionalita' legislativa - Eterogeneita' delle situazioni poste a raffronto - Manifesta infondatezza della questione. - D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 29, comma 1, lettera b-bis). - Costituzione, artt. 3, 29 e 30



CORTE COSTITUZIONALE, Ordinanza n. 335 del 26/09/2007



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco BILE Presidente

- Giovanni Maria FLICK Giudice

- Francesco AMIRANTE "

- Ugo DE SIERVO "

- Paolo MADDALENA "

- Alfio FINOCCHIARO "

- Franco GALLO "

- Luigi MAZZELLA "

- Gaetano SILVESTRI "

- Sabino CASSESE "

- Maria Rita SAULLE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell'art. 29, comma 1, lettera b-bis), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso con ordinanza del 7 giugno 2006 dal Tribunale di Firenze sul ricorso proposto da M.S. contro il Ministero dell'interno ed il Prefetto di Firenze, iscritta al n. 113 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell'anno 2007.

Udito nella camera di consiglio del 20 giugno 2007 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.

Ritenuto che, con ordinanza del 7 giugno 2006, il Tribunale di Firenze, in composizione monocratica, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 29 e 30 della Costituzione – questione di legittimita’ costituzionale dell'art. 29, comma 1, lettera b-bis), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), «nella parte in cui prevede il divieto del ricongiungimento del figlio maggiorenne a carico solamente nella ipotesi che esso non possa provvedere al proprio sostentamento a causa del suo stato di salute che comporti invalidita’ totale»;

che il giudizio a quo ha ad oggetto l'impugnazione del provvedimento con il quale, in applicazione del disposto di cui all'art. 29 del d.lgs. n. 286 del 1998, l'Autorita’ amministrativa competente ha rigettato la richiesta avanzata da una cittadina di nazionalita’ ucraina, regolarmente presente sul territorio dello Stato, di ricongiungimento con la propria figlia, in considerazione della raggiunta maggiore eta’ di quest'ultima;

che, secondo quanto riferito dal rimettente, la ricorrente ha dimostrato in giudizio che la propria figlia maggiorenne, residente in Ucraina, risulterebbe priva sia di fonti autonome di reddito sia del padre o di altri parenti prossimi che possano provvedere al suo sostentamento;

che, alla luce di tali premesse, il giudice rimettente dubita della legittimita’ costituzionale dell'art. 29, comma 1, lettera b-bis), del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui «limita l'ingresso della maggiorenne non autosufficiente a carico, alla sola ipotesi che la mancata autosufficienza dipenda da incapacita’ derivante da stato di salute», in quanto, trattandosi di diritto indisponibile, il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione dovrebbe comportare, anche nei riguardi degli stranieri, un trattamento identico delle situazioni sostanziali, afferenti a diritti indisponibili, che risultino omogenee;

che il rimettente osserva, al riguardo, che, mentre ai fini del ricongiungimento dei genitori «a carico» – disciplinato dal comma 1, lettera c), del medesimo art. 29 – rileverebbero le circostanze oggettive, a seconda dei casi, dell'assenza di altri figli nel Paese di origine, ovvero dell'impossibilita’ di questi di provvedere al loro sostentamento per gravi motivi di salute, il ricongiungimento dei figli maggiorenni risulterebbe condizionato all'accertamento del fatto che «la dipendenza economica dipenda da una situazione fisica soggettiva assolutamente impeditiva dell'esercizio di una attivita’ lavorativa», non essendo invece sufficiente la dimostrazione della «condizione di assenza di ulteriori membri della famiglia che possano provvedere al sostentamento del figlio»;

che, a giudizio del rimettente, «la ratio della differenza di presupposti» fra le fattispecie di ricongiungimento richiamate non potrebbe rinvenirsi «nella presunzione che il figlio (piu’ giovane del genitore) possa» (e quindi «debba») «trovarsi un'occupazione», in quanto cio’ si tradurrebbe in un'indagine sulla colpevolezza dello stato di bisogno non richiesta dal legislatore per il genitore «a carico», in violazione dell'art. 3 Cost.;

che, inoltre, ad avviso del giudice a quo, la norma censurata violerebbe anche l'art. 29 Cost., che riconosce i diritti della famiglia, nell'ambito dei quali dovrebbero annoverarsi, in relazione al «figlio naturale riconosciuto», anche quelli della «famiglia non fondata sul matrimonio», nonche’ l'art. 30 Cost., in quanto «la limitazione al riconoscimento dei diritti della famiglia ai soli figli minorenni» non troverebbe «alcun riscontro» in detto precetto costituzionale;

che, in particolare, sotto tale ultimo profilo, il rimettente osserva che non «appare sufficiente riconoscere che il mantenimento possa avvenire in forma indiretta mediante invio delle somme necessarie nel Paese di origine, poiche’ i doveri che incombono verso i figli richiamati dall'art. 30 Cost.» non si limitano «al solo aspetto economico», ma coinvolgono «anche doveri a carattere non patrimoniale, inscindibilmente connessi ai primi», che necessitano «di un diretto contatto fra genitori e prole».

Considerato che la questione di legittimita’ costituzionale sollevata, in riferimento agli artt. 3, 29 e 30 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze in composizione monocratica concerne l'art. 29, comma 1, lettera b-bis), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), «nella parte in cui prevede il divieto del ricongiungimento del figlio maggiorenne a carico solamente nella ipotesi che esso non possa provvedere al proprio sostentamento a causa del suo stato di salute che comporti invalidita’ totale»;

che, in particolare, la disposizione, nella formulazione vigente al momento dell'ordinanza di rimessione, consentiva il ricongiungimento dei figli maggiorenni allorche’ risultasse che costoro non potessero «per ragioni oggettive provvedere al proprio sostentamento a causa del loro stato di salute» comportante «invalidita’ totale»;

che, nelle more del presente giudizio, la disposizione impugnata e’ stata modificata dall'art. 2, comma 1, lettera e), del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5 (Attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare);

che, tuttavia, anche in virtu’ del citato ius superveniens, il ricongiungimento dei figli maggiorenni risulta tuttora subordinato alla circostanza che essi «permanentemente non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute»;

che, pertanto, la richiamata modifica normativa non incide sui termini della questione di legittimita’ costituzionale rimessa al giudizio di questa Corte, permanendo anche nella formulazione attuale – ai fini dell'esercizio del diritto in questione – la necessita’ dell'accertamento che lo stato di bisogno del figlio maggiorenne di cui si chiede il ricongiungimento sia determinato dalle sue condizioni di salute;

che, quanto al merito della questione sollevata, questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare che «l'inviolabilita’ del diritto all'unita’ familiare e’ certamente invocabile e deve ricevere la piu’ ampia tutela con riferimento alla famiglia nucleare, eventualmente in formazione e, quindi, in relazione al ricongiungimento dello straniero con il coniuge e con i figli minori»; mentre, nei casi di ricongiungimento tra figli maggiorenni, ormai allontanatisi dal nucleo di origine, e genitori, il legislatore ben puo’ bilanciare «l'interesse all'affetto» con altri interessi meritevoli di tutela (sentenza n. 224 del 2005 e ordinanze n. 368 del 2006 e n. 464 del 2005), a condizione che le scelte «non risultino manifestamente irragionevoli» (ordinanza n. 232 del 2001);

che questa giurisprudenza ha chiarito, altresi’, con riferimento al diritto al ricongiungimento familiare, che la discrezionalita’ del legislatore risulta ancora piu’ ampia «in quanto il concetto di solidarieta’ non implica necessariamente quello di convivenza, essendo ben possibile adempiere il relativo obbligo mediante modalita’ diverse dalla convivenza» (ordinanza n. 368 del 2006 e sentenza n. 224 del 2005);

che, pertanto, ove si consideri che il legislatore puo’ regolare l'accesso degli stranieri sul territorio dello Stato sulla base di scelte che tengano conto di un «corretto bilanciamento dei valori in gioco», non risulta irragionevole consentire il ricongiungimento dei figli maggiorenni nelle sole ipotesi in cui vi sia una situazione di bisogno determinata dall'impossibilita’ permanente di provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita, a causa del loro stato di salute;

che, quanto alla ritenuta violazione dell'art. 3 Cost., per l'asserita disparita’ di trattamento fra la disciplina riservata al ricongiungimento del genitore – per il quale sarebbe sufficiente l'assenza di figli nel Paese di origine che possano provvedere al suo sostentamento – e quella prevista per il figlio maggiorenne (essendo, in tal caso, richiesto che lo stato di bisogno sia determinato da ragioni di salute che impediscono permanentemente di provvedere alle proprie esigenze di vita), il giudizio di comparazione tra le due situazioni prospettato dal giudice rimettente si rivela impraticabile, attesa la loro eterogeneita’;

che, infatti, solo per il figlio maggiorenne puo’ ragionevolmente ritenersi che l'eventuale situazione di dipendenza economica dal proprio genitore sia legata a fattori contingenti e, conseguentemente, destinata a risolversi, salvo appunto il caso di uno stato di malattia che ne pregiudichi irreversibilmente la capacita’ lavorativa;

che, pertanto, la questione sollevata dal Tribunale di Firenze in composizione monocratica si rivela manifestamente infondata sotto ogni profilo;

che tali rilievi consentono a questa Corte di prescindere dal fatto che il giudice rimettente abbia del tutto omesso di considerare che la norma censurata – anche nel testo vigente al momento dell'ordinanza e prima della formale attuazione nell'ordinamento italiano avvenuta con il citato d.lgs. n. 5 del 2007 – risulta conforme a quella dettata dall'art. 4, comma 2, lettera b), della direttiva 22 settembre 2003, n. 2003/86/CE (Direttiva del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare), la quale espressamente prevede che gli Stati membri possano autorizzare l'ingresso dei «figli adulti non coniugati del soggiornante, o del suo coniuge, qualora obiettivamente non possano sovvenire alle proprie necessita’ in ragione del loro stato di salute».

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimita’ costituzionale dell'art. 29, comma 1, lettera b-bis), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 29 e 30 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze, in composizione monocratica, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 settembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 settembre 2007.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA