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Stop a pettegolezzi inutili sulle nozze dei Vip

E' vietato - su giornali e media - fare pettegolezzi "lubrici" e fini a sé stessi sulle persone note quando tali "chiacchiere e dicerie" non sono in alcun modo utili per valutare la personalità o la moralità dei personaggi finiti sotto i riflettori, specie se il gossip riguarda i matrimoni vip. Compresi i "retroscena". Lo sottolinea la Cassazione intervenendo - con una condanna per diffamazione - a tutela della riservatezza e della reputazione dei 'famosi'. In particolare la Suprema Corte ha confermato la colpevolezza del direttore di un quotidiano milanese e del giornalista che, su quella testata, aveva scritto un articolo nel quale ricostruiva la vicenda di una 'dinastia' editrice piacentina riferendo la "storiella boccaccesca" in base alla quale la moglie dell'editore lo avrebbe sposato solo "per estinguere così i debiti del suo fidanzato dell'epoca contratti con l'imprenditore". Ad avviso degli 'ermellini' il diritto di cronaca "giustifica intromissioni nella sfera privata dei cittadini solo quando possano contribuire alla formazione di una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti per la collettività". "E' vero che anche le vicende private di persone impegnate nella vita politica o sociale possono risultare di interesse pubblico quando - spiegano i supremi giudici nella sentenza 42067 - possano desumersene elementi di valutazione della personalità o della moralità di chi debba godere della fiducia dei cittadini". Ma "non è certo la semplice curiosità del pubblico a poter giustificare la diffusione di notizie sulla vita privata altrui, perché è necessario che tali notizie rivestano oggettivamente interesse per la collettività". In questa prospettiva - conclude il 'Palazzaccio' - "non aveva alcuna rilevanza il pettegolezzo sul presunto retroscena del matrimonio, perché il diritto di cronaca non può essere inteso come diritto a sollecitare la curiosità lubrica del pubblico". Senza successo la difesa dei due imputati ha chiesto che fossero ascoltati i testi per dimostrare "la verità del fatto" addebitato alla signora in questione. La Cassazione ha replicato che la testimonianza sulla "veridicità del presunto retroscena" è "irrilevante" in quanto "ne sarebbe stata comunque illecita la divulgazione, anche se corrispondente alla realtà".

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